Cosa ci lascia Brennero? Richard Sammel commenta il gran finale della serie

Oltre che a svelare l’identità del Mostro di Bolzano, il gran finale di Brennero ha rivelato il messaggio profondamente contemporaneo che la serie porta con sé. Ce lo ha spiegato Richard Sammel.

Finalmente conosciamo l’identità del Mostro di Bolzano, ma anche la conclusione del rapporto professionale e umano tra i due protagonisti agli antipodi della serie: Eva “la tedesca”, distaccata e rigorosa, e Paolo “l’italiano”, tutto intuito con una sana dose di avversione alle regole.

Oltre alla trama degna di un true crime che ha tenuti incollati alla TV gli spettatori - almeno quelli che hanno resistito alla tentazione di fare una binge approfittando della presenza dell’intera serie su RaiPlay - Brennero però voleva portare con sé una riflessione.

Il punto della serie infatti, come anticipato dal cast durante la presentazione alla stampa, era quello di far conoscere la bellezza e l’unicità di un territorio italiano di confine in cui convivono, talvolta con molte difficoltà, due differenti tradizioni culturali e linguistiche.

In vista del gran finale della serie, ne ho parlato un po’ l’attore che interpreta il padre di Eva ed ex procuratore capo della questura di Bolzano, Gerhard Kofler. Nel cast di Brennero non c’è nessuno più titolato di Richard Sammel per esplorare questa tematica: figlio di un famiglia che lui definisce “multinazionale”, parla fluentemente 5 lingue, vive tra la Germania e la Francia. Ha lavorato in oltre 100 progetti, spaziando dalla fiction italiana ai film di Tarantino.

La sua storia, così come raccontato da Brennero, è destinata a diventare la norma in un futuro non troppo lontano.

Cosa ci lascia Brennero? Richard Sammel commenta il gran finale della serie

Richard Sammel su Brennero: "non bisogna negare la presenza d’identità culturali differenti, ma capire come farle vivere assieme"

Cosa ti ha convinto a entrare nel cast di Brennero?

Beh, Brennero è la summa di quello che tutti cerchiamo in una buona serie televisiva. Innanzitutto è un giallo con una caccia al killer, genere che piace tantissimo al pubblico. Amo molto come sia un mezzo per raccontare la storia con la S maiuscola di questi luoghi, le tensioni tra comunità tedesca e italiana. Inoltre c’è anche un conflitto generazionale in cui è coinvolto il mio personaggio e non può mancare una storia d’amore, anzi, più storie d’amore.

Tutto questo veicolato da un’alta professionalità di tutte le professionalità coinvolte, dagli sceneggiatori ai registi, oltre che ovviamente agli interpreti. Ero un po’ deluso che non fosse uscito prima, dato che la postproduzione è durata tantissimo. Ora che ho visto il risultato finale, sono davvero contento che si siano presi tutto il tempo necessario, dato l’alto livello raggiunto.

Il tuo personaggio, quello dell’ex procuratore Gerhard Kofler, per molti versi è differente da te. È più anziano di te, è malato. Quanto è stato difficile prepararsi per questo ruolo?

Sai, a me piace cercare sempre nuove sfide professionali, preferisco non rimanere fermo, non fare sempre lo stesso ruolo che so già che mi riesce. Questa però è stata una vera sfida, volevo davvero mettermi alla prova con un personaggio più anziano, con una malattia impattante. Ero quasi titubante, ma alla fine ho deciso di buttarmi.

In merito alla malattia del tuo personaggio, l’Alzhaimer, come ti sei preparato? Come è stato emotivamente affrontare questo aspetto del ruolo?

Sai, ci si può preparare in molti modi quando si affronta un ruolo così, di una persona con una malattia che non hai. Ovviamente è un processo delicato, anche se basta aprire Google e cominciare a studiare i sintomi fisici e psicologici, documentarsi con gli studi medici pubblicati. Per la parte emotiva, soprattutto per l’incapacità del mio personaggio di ammettere di essere malato, di riconoscere i primi sintomi come tali, mi sono rifatto a certi ricordi, certi racconti di alcuni lontani parenti che purtroppo hanno avuto a che fare con questo male.

Una cosa che faccio sempre e che ho fatto anche per il ruolo di Gerhard è stata la creazione di una sorta di ponte tra me e lui. In questo caso mi ha aiutato a creare una connessione la convinzione che abbiamo tutti di ricordare bene il nostro passato, almeno finché siamo sani. Invece non è così, ogni volta che ricordiamo qualcosa la modifichiamo. Me lo ha spiegato bene un neurochirurgo una volta. Mi fece questo esempio: pensa di essere un computer che apre un file dopo 10 anni. Ogni volta che lo apri fai dei cambiamenti, pensando di migliorarlo, poi salvi e lo chiudi. Ogni volta che lo riapri pensi di avere il documento originale, invece via via diventa sempre più differente dall’originale. A differenza dei computer, non conserviamo mai il dossier d’origine.

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Il tuo personaggio poi lavorava nell’ambito della giustizia…

Ah, i magistrati questo lo sanno. I testimoni sono affidabili fino a un certo punto proprio per questo motivo, perché spesso la famiglia di una vittima o un testimone che vuole essere utile potrebbe arrivare a sabotare le sue stesse memorie. Alcuni poliziotti mi hanno spiegato che esistono degli specialisti in grado di valutare l’affidabilità di un testimone in questo senso.

Rispetto al solito poi stavolta non interpreti un cattivo vero e proprio, giusto?

È molto vero, anche se devo dire che quando mi assegnano il ruolo di un cattivo, cerco sempre di ricordarmi che lui non si sente tale. I cattivi hanno sempre una spiegazione plausibile e molto solida per quello che fanno o vogliono fare. Se poi sono coscienti della malvagità delle loro azioni, sono i migliori avvocati di sé stessi, sanno trovare sempre giustificazioni per cui non potevano fare altrimenti.

Questo è particolarmente vero alla luce del finale di Brennero, che ora è andato in onda. Questa serie ha fatto molto parlare di sé proprio per come ha raccontato le due popolazioni che vivono nello stesso territorio e, nei momenti di tensione e scontro, si chiudono in sé stesse, rappresentandosi entrambe come vittime.

Alla fine le discriminazioni si basano sempre sull’ignoranza. Straniero significa qualcosa che non conosci, che è diverso da te. I personaggi di Brennero pian piano realizzano che la propria identità culturale non è messa in crisi dalla presenza di una differente nello stesso territorio. È un processo molto diverso da quello della destra estrema, che vede in questa diversità l’impossibilità di coabitare, di coesistere. Diverso diventa cattivo, in automatico.

Credo che il messaggio profondo di Brennero sia questo: per crescere come umanità, in ogni territorio, non bisogna negare la presenza d’identità culturali differenti, ma capire come farle vivere assieme. È un messaggio estremamente attuale in un mondo interconnesso come il nostro, in cui a causa di logiche economiche e della velocità dei trasporti tutti si mischiano. Io ne sono un esempio perfetto, vengo da una famiglia multiculturale, in cui convivono nazionalità differenti, no? Il mondo intero diventerà un unico, grande paese. L’Europa è un bell’esempio, dove l’identità nazionale di ciascuno esiste, ma si cerca di non contrapporla, di non creare uno scontro politico, bellico.

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