Crimini in serie: il caso di Jeffrey Dahmer e Monster in TV

Un viaggio nella mente del mostro

di Chiara Poli

È stato uno dei serial killer più crudeli e deviati di tutti i tempi. La sua storia, quando venne arrestato, sconvolse il mondo intero.

Il suo nome, Jeffrey Dahmer, diventò un nome che tutti conoscevano, benché la stampa l'avesse prontamente ribattezzato “il cannibale di Milwaukee” o “il mostro di Milwaukee”. Jeffrey Dahmer ha ucciso, smembrato e vilipeso i cadaveri di 17 persone, persone che erano tutte giovani o giovanissimi uomini.

La sua vittima più giovane aveva appena 13 anni, la più grande 31.

Jeffrey Dahmer, il podcast

 

I mostri esistono


Jeffrey Dahmer ha ucciso fra il 1978, quando aveva appena 18 anni, e il 1991, quando ne aveva 31.

I dettagli macabri dei suoi omicidi, con il ritrovamento in quella che tutti abbiamo conosciuto come “la casa degli orrori” con parti di cadaveri conservate nel frigorifero e un altare fatto di ossa delle sue vittime, fecero il giro del pianeta a tempo di record. In un mondo in cui internet non esisteva, le notizie arrivavano senza sosta.

Chi c’era lo ricorda benissimo: l’arresto di Jeffrey Dahmer il 22 luglio del 1991 spalancò le porte di un orrore che molti di noi non potevano neanche immaginare. Quotidiani, riviste, speciali in TV: tutti parlavano di Jeffrey Dahmer e del mostro che per ben due volte era sfuggito alla polizia statunitense.

A colpire, nella sua storia, oltre alla crudeltà e alle devianze di cui la cronaca forniva fin troppi dettagli, fu proprio la possibilità di uccidere che venne di fatto concessa a Dahmer da un sistema che non voleva aprire gli occhi. Il ragazzino di 14 anni che fuggì da casa di Dahmer dopo che il mostro gli aveva praticato un foro nel cranio per iniettargli dell’acido cloridrico, venne riconsegnato a Dahmer dalla polizia, che credette alla sua storia. Dahmer raccontò che il ragazzo aveva 19 anni, era il suo fidanzato ed era sconvolto a seguito di un litigio e del troppo alcol.

Nonostante il quattordicenne fosse nudo, ferito, e per metà ricoperto di sangue, la polizia non mosso un dito. Entrò addirittura nella casa degli orrori, l’appartamento in cui Dahmer uccideva e smembrava, per poi conservarne alcune parti, le sue vittime. Sarebbe bastato che gli agenti si guardassero intorno: c'era un corpo proprio quando la polizia entrò in casa affinché Dahmer mostrasse le fotografie della sua ultima vittima, confermando la loro relazione sentimentale.

Jeffrey Dahmer usava spesso la scusa del servizio fotografico per attirare le sue vittime, in cambio di un compenso in denaro che non avrebbero mai ricevuto. Ciò che la polizia non vide quella sera furono le fotografie dei cadaveri e dei corpi martoriati delle sue vittime.

Jeffrey Dahmer la fece franca quando venne colto in flagranza di reato. Fu anche questo contribuire alla sua popolarità. Inoltre, gran parte delle vittime di Dahmer erano ragazzi neri e, in un periodo di forti tensioni razziali, i poliziotti bianchi preferivano tenersi alla larga sia dagli omosessuali che dalla comunità nera. Questo, quando si vennero a sapere i dettagli della cattura mancata, scatenò un putiferio in America.

Monster: la trasposizione più riuscita e inquietante della storia di Dahmer


Nel secondo episodio di Crimini in serie, il podcast true crime di GameSurf che confronta i reali fatti di cronaca con le serie o i film che li raccontano, ci occupiamo della storia vera di Jeffrey Dahmer e della sua trasposizione televisiva.

Monster, la serie antologica di Ryan Murphy e Ian Brennan che ha dedicato la sua prima stagione al serial killer interpretato da Evan Peters (American Horror Story), ha fatto molto discutere.

Sebbene la qualità della produzione e delle interpretazioni non sia mai stata messa in dubbio, al centro del dibattito è finito lo stile narrativo. Murphy e Brennan ci portano, di fatto, nella mente del mostro.

Jeffrey Dahmer è al centro della prospettiva. Iniziamo a conoscere il mondo attraverso i suoi occhi. E ne usciamo disturbati, inquietati, con un senso di profondo fastidio difficile da scrollarsi di dosso dopo la visione.

Paradossalmente, è il disagio che proviamo a rendere gli episodi di Monster la migliore trasposizione mai fatta - a fronte di ben sei film - della storia di Jeffrey Dahmer. Murphy e Brennan riescono sia a raccontarci l’inquietudine del killer fin da giovanissimo - senza mai giustificarlo: semplicemente raccontandoci i fatti - sia a rendere giustizia alle vittime, mettendo in evidenza il dolore e la paura che precedono ogni omicidio.

Come American Crime Story, anche Monster (diventato Monsters nella seconda stagione, dedicata ai fratelli Menendez) ricostruisce fedelmente ambienti e costumi, immagini famose e fatti. Attribuendo scrupolosamente uguale importanza al killer, il mostro della situazione, e alle sue vittime. Perché in questa storia non c’è nessun vincitore: ogni omicidio non è una conquista per Dahmer, la serie ce lo dice chiaramente: non possiamo fare il tifo per il “cattivo” di turno come facciamo con Hannibal Lecter, perché Dahmer è reale. Vero. Tangibile.

E a ogni omicidio compie un passo in più verso l’abisso di orrore che l’ha inghiottito, e di cui il mondo è stato testimone a partire dal 22 luglio del 1991. Senza riuscire più a dimenticarlo.

Come vi raccontiamo in Crimini in serie, parlandovi dettagliatamente sia del caso che della serie TV dedicata a Jeffrey Dahmer.