Daniel Brühl racconta il suo Lagerfeld: "Ho conosciuto la stessa solitudine di Karl, ho affrontato le stesse critiche"
Daniel Brühl presenta a Milano la serie Becoming Lagerfeld e racconta ciò che ha trovato di sé nel ruolo del Kaiser della moda.
Affabile, elegante, vestito da capo a piedi Emenegildo Zegna, con capi disegnati dall'amico Alessandro Sartori. Daniel Brühl si presenta alla conferenza stampa italiana di Becoming Karl Lagerfeld elegantissimo e affabile, con una sorprendente padronanza dell'italiano, che capisce ogni tanto parlicchia.
Poliglotta, cosmopolita, cresciuto nella Germania post caduta del Muro e orgoglioso del suo essere europeo, Brühl sembra quasi un membro di un elite culturale un po' snob. Invece, proprio come Lagerfeld, è stato criticato per il suo desiderio di raggiungere un pubblico vasto e popolare al cinema, non disdegnando ruoli da villain nell'universo Marvel.
Nel suo presente e futuro c'è una sorprendente accettazione dell'età che avanza, la voglia di mettersi alla prova con personaggi complessi, la decisione di genitore di guardare con ottimismo al futuro, rimanendo curioso e attento verso il mondo...proprio come Karl.
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Becoming Karl Lagerfeld è una serie Disney+ prodotta in Francia, parlata prevalemente in francese. Tu Daniel parli un sacco di lingue, capisci l’italiano…proprio come Karl Lagerfeld, no?
Brühl - Sì, capisco un po’ l’italiano ma…il mio italiano è una catastrofe (ride). Sono mezzo spagnolo, quindi capisco abbastanza l’italiano. Vorrei potermi esprimere in italiano come faceva Karl Lagerfeld ma purtroppo non sono un genio delle lingue come lui. Karl parlava italiano e francese con un forte accento tedesco, aveva un vastissimo vocabolario in francese. Mentre giravamo la serie dovevo stare attento a non perdere l’accento tedesco perché lui ce l’aveva molto forte, invece io non ce ho.
Lagerfeld aveva radici tedesche, come te. Cosa hai scoperto di avere in comune con lui preparando il ruolo?
Brühl - Ci siamo concentrati su un periodo della sua vita in cui non era ancora così famoso, non aveva ancora perfezionato la sua identità pubblica che tutti ricordiamo. Una volta l’ho incontrato sai? Una ventina di anni fa, mi scattò delle fotografie. Era già il personaggio che aveva inventato, anche per proteggere sé stesso. Qualcosa di simile a ciò che fece Andy Warhol, no? Capelli bianchi, guanti, occhialoni scuri…ho intravisto i suoi occhi solo una volta, per un secondo, dietro le lenti. Nella serie cerco di raccontare come il giovane Karl, ancora insicuro, fragile e romantico, sia arrivato a creare questo personaggio.
Tra l’altro, una cosa curiosa: ho ricevuto la chiamata per interpretare questo ruolo dopo aver lavorare sul set di un film su Andy Warhol, che ancora non è uscito. Sono due figure molto simili per parecchi aspetti.
Da dove sei partito per costruire il personaggio?
Brühl - Tra pochi giorni compio 46 anni e, a differenza di Karl Lagerfeld, non nascondo la mia età, non ho paura d’invecchiare. È stato un processo davvero lungo quello che mi ha portato a costruire il mio Karl, è composto da migliaia di piccoli pezzi presi qua e là. Sono partito da 3 biografie che sono state scritte su di lui. Siccome sin da giovane era molto bravo a “vendersi”, ho potuto studiare molte interviste per capire la gestualità e il suo modo di fare. Ho anche avuto l’occasione d’incontrare parecchie persone che lo conoscevano molto bene, così da riempire i vuoti lasciati dalle fonti ufficiali. Alla fine metti tutto insieme e ci provi.
Ho passato un po’ di tempo in montagna, in Spagna. Lì ho provato il personaggio, mettendomi i tacchi, iniziando a parlare in francese. I miei primi spettatori e giudici sono stati asini, mucche, pecore che pascolavano lì in zona…le pecore erano le più convinte dalla mia performance. (ride)
Lagerfeld è un uomo molto solo, almeno nella serie. Come hai lavorato per rendere questo aspetto del personaggio?
Brühl - È sempre questa la parte difficile d’interpretare un personaggio così famoso, iconico, eccentrico, misterioso. Il rischio di fare una caricatura è forte, devi cercare di creare una tua versione, rispettando anche l’intimità di un uomo che è sempre stato molto riservato. Quindi dovevo essere sia delicato nel rispettare questo lato del suo carattere, sia spavaldo abbastanza da portare su schermo un uomo che voleva conquistare Parigi e anche l’amore della sua vita, ma al contempo era molto impaurito al pensiero di perdere il controllo.
Mi ha aiutato il fatto che alcuni aspetti del suo carattere fanno parte anche del mio, anche se in maniera molto più superficiale. Come attore, anche io voglio essere amato e apprezzato, anche se ovviamente i riflettori e l’attenzione puntati su di me non sono nemmeno lontanamente comparabili a quelli che affrontò Karl.
Allo stesso modo anche io ho provato quella stessa solitudine che viene raccontata nella serie. È uno dei tanti sentimenti che lui provava con cui posso sentire una connessione, ma lui li viveva all’estremo.
Gli attori sono i mercenari e i registi degli stilisti, parafrasando un po’ una critica che è stata mossa da Berger a Karl Lagerfeld?
Brühl - Domanda interessante. Potrei dirti che nella mia carriera ho conosciuto molti registi che potrei definire haute couture. Sai, mio padre era un regista, soprattutto di documentari, ma è stato lui a guidarmi nelle mie prime esperienze cinematografiche da spettatore e mi ha sempre sostenuto quando ho deciso di voler fare l’attore. Lui mi ha sempre detto che, idealmente, un buon film dovrebbe essere in grado diventare argomento di discussione tra un tassista, un lettore di feuilleton e un membro dell’elite.
Io ho sempre voluto raggiungere un pubblico più ampio. Questo approccio al lavoro spesso mi ha portato giudizi negativi da certi circoli culturali tedeschi, l’elite che mi ha mosso le stesse critiche che ricevette Lagerfeld, definito il mercenario del pret-a-porter. A me come definizione piace molto.
Quando ho compiuto 15 anni mio padre mi ha regalato un videoregistratore e dei film. Erano più che altro registi italiani di alto livello, come De Sica, Fellini, Visconti. Mi hanno educato i grandi classici del cinema italiano. Marcello Mastroianni è diventato così un mio eroe, un mio idolo. Questo particolare del VHS sottolinea quanto sono vecchio, no?
Lagerfeld a inizio carriera ha sofferto un po’ le sue origini teutoniche. È qualcosa in cui si rivede?
Brühl - Sicuramente è uno degli aspetti che mi ha fatto sentire connesso a lui, oltre al fatto di voler esplorare e conquistare il mondo. La mia famiglia era un mix di culture e lingue: mamma spagnola, papà tedesco, due zie francesi Francois di Parigi e Francois di Tolosa…siamo cresciuti tutti insieme e ognuno manteneva la sua cultura e me la trasmetteva.
Quando sono diventato attore non pensavo nemmeno all’America, però all’Inghilterra sì, perché amo viaggiare ed è molto divertente recitare in lingue diverse.
Mio padre mi raccontava sempre questo aneddoto legato alla figura di Carlo V, re di Spagna, imperatore, che padroneggiava molte lingue. Lui diceva: “parlo a Dio in spagnolo, alla mia amante in francese, ai miei cavalli in tedesco”. Sono passati dei secoli da quando lo diceva, ma fa ancora ridere no?
Sì, voglio essere un po’ il piccolo kaiser Daniel, come mi hai chiamato e sfruttare forza e debolezze delle lingue che conoscono per conquistare, diciamo così, altre nazioni. Scherzo, stralciamo quest’ultima affermazione (ride).
A proposito di Europa…ho visto che hai fatto un appello sui social, in tedesco, per le imminenti elezioni europee.
Brühl - Quando avevo 11 anni il mondo era diviso in due. Sono cresciuto in un momento davvero privilegiato in cui in Europa c’è stata la volontà di unirsi, di stare insieme. Ora questo spirito si sta perdendo.
Ho due figli, due ragazzi, perciò non mi posso permettere di essere troppo cinico, in generale sono una persona positiva. Io penso che i messaggi populisti che alcuni politici diffondono non siano davvero la soluzione, perché non esistono soluzioni semplici. Lo sappiamo particolarmente bene noi tedeschi, anzi, lo dovremmo aver imparato molto meglio di quanto dimostriamo di averlo fatto.
Cosa ti piace ritrarre nei tuoi personaggi, cosa hai trovato di stimolante Lagerfeld?
Brühl - Karl Lagerfeld è un esempio fantastico di contraddizione e pulsioni no? Lui era davvero un intellettuale, quando parlava di libri nelle trasmissioni capivi che lui li aveva letti davvero tutti. Icona della pop culture, lavorava nella moda, era un uomo d’affari molto scafato, ma teneva sul comodino 8 libri che leggeva contemporaneamente. Quante contraddizioni si è portato dietro fino alla fine della sua vita.
Anche negli ultimi anni della sua vita si circondava di giovani, voleva conoscere lo spirito dei tempi, non perse mai la scintilla della curiosità. Lui leggeva Proust, gli scrittori romantici tedeschi, che adorava. Amava anche curare una sfilata che è per ritmi e contenuti l’esatto opposto di quel diciottesimo secolo di cui era tanto appassionato, no? Era una persona che teneva insieme poli estremi.
Che cosa hai capito del mondo della moda interpretando questo personaggio?
Brühl - Ovviamente grazie a questo ruolo ho imparato tantissimo sul mondo della moda, era un passaggio obbligato. Lo staff di Chloé in particolare è stato di enorme aiuto, per tre giorni mi hanno dato accesso a tutto il dietro le quinte delle sfilate e del mondo della moda in generale, aprendomi tutte le porte dei loro reparti.
C’è un nome in particolare che segna il mio rapporto con il mondo della moda: quello dello stilista italiano Alessandro Sartori, di Zegna. Che coincidenza che indossa i suoi capi oggi, eh? Lui è venuto a Berlino per il mio 30esimo compleanno e da allora abbiamo instaurato un rapporto molto amichevole. Grazie a lui ho capito quanto il lavoro di stilista sia duro e forse anche non così salutare: bisogna mantenere un ritmo folle, molto più alto della vita delle persone normali. Bisogna sempre lavorare pensando al futuro, senza perdere l’energia, la creatività, la disciplina. Da quando conosco Alessandro, prendo il mondo della moda molto seriamente.
Cosa ti ha lasciato interpretare Lagerfeld, se ti ha lasciato qualcosa?
Brühl - Sto invecchiando e vorrei imparare da Lagerfeld a non diventare troppo nostalgico, evitando di guardarmi sempre indietro. Vorrei imparare come lui a mantenere la curiosità verso la vita e il mondo, fino alla fine.
C’è qualche aneddoto interessante della lavorazione della serie che vuoi condividere con noi?
Brühl - Sì, continuo a raccontare questo episodio fantastico che riguarda Théodore Pellerin, l’attore francese che interpreta l’uomo amato da Lagerfeld.
Primo giorno di riprese, il momento della verità, quello in cui capisci se le cose andranno per il verso giusto. Prendi le misure della troupe e del cast, ti confronti col regista, cominci a entrare nei panni del personaggio…senti all’improvviso tutta la pressione. Non sai ancora se andrà tutto per il meglio, sei nervoso.
Dopo le prime scene, torno nella mia stanza per cambiarmi e trovo un enorme bouquet di rose. Qualcosa di enorme, qualcosa come 150 rose. La mia prima reazione è stata di chiamare mia moglie e dirle “amore, non ti ho mai mandato un mazzo di fiori bello come questo”. Mi chiedevo di chi me l’avesse mandato.
Tornato nel mio appartamento, l’ho messo in un enorme secchio e nel farlo ho visto cadere un biglietto con su scritto “Pour Carlito from Jacques”. Era un regalo di Théodore Pellerin, che ha cominciato così nella realtà un gioco di seduzione che dovevamo interpretare nella serie. Una mossa molto sottile, no?
Era la prima volta che interpretavo un uomo che ama un altro uomo e la chimica tra noi era incredibile, c’erano dei momenti di verità in certe scene. A un certo punto ho chiamato mia moglie e le ho detto: “cara, io sono innamorato di questo uomo, capisci?” e lei mi ha risposto che non c’era problema, le sembrava un tipo a posto, era pronta a una relazione aperta (ride).
Hai interpretato un villain Marvel, un pilota di formula 1, un genio della moda…che sfide vedi nel tuo futuro?
Brühl - Spero di trovare anche nei prossimi anni ruoli così sfidanti. Non ho mai avuto un ruolo specifico che desiderassi interpretare, un Napoleone, no? Ah già, è vero che hanno appena fatto un Napoleone (ride).
Quando mi arriva un progetto, ci rifletto e decido se farlo o no. Dopo tanti anni, mi arrivano ancora proposte stimolanti. In questo momento sono molto eccitato per il film che sto per girare con Ruben Östlund. È un regista spiazzante, così ingegnoso: è una storia fenomenale. Nel mio futuro spero di girare un altro film da regista, ho un’idea ma è troppo presto per parlarne.
Cosa suggeriresti a un giovane che voglia fare l’attore sulla scena internazionale come te?
Brühl - La prima cosa che consiglierei è di chiedersi se voglia davvero fare l’attore. Mi sembra che di recente in molti giovani tentino questa strada con l’idea di diventare famosi, non con l’intenzione di fare il lavoro necessario a fare questo mestiere. Fare l’attore significa affrontare una serie infinita serie di rifiuti e umiliazioni.
Io faccio l’attore per quei pochi secondi di realtà che ottieni sul set, un paio di secondi che mi possono fare andare avanti per anni. Posso pensare a un sacco di momenti deprimenti nella mia carriera. Quella telefonata è identica in ogni paese in cui ho lavorato: “Pronto? Senti, sei stato fantastico ma…non sei tu che cerchiamo”. Ci sono così tanti momenti in cui ti senti giù, solo, miserabile. Devi affrontare migliaia di provini, migliaia di rifiuti e persistere.
Nel mondo attuale poi bisogna imparare ad abbassare il volume delle voci che ti circondano come attore. C’è sempre qualcuno pronto a tirarti le uova, i pomodori, per nessun motivo apparente. Bisogna imparare ad abbassare il volume di queste voci e fare il proprio lavoro.
Per questo ruolo per esempio per me è stato molto difficile gestire la tensione derivante dal fatto che, a differenza della Francia, tutti in Germania hanno un’opinione su Lagerfeld. Molto più che su Niki Lauda, che ho già interpretato, per dire. Ora sono molto curioso e un po’ ansioso di scoprire quale sarà la reazione, ma in certi momenti non è stato semplice lavorare sul mio Karl senza curarmi di quelle voci dalla mia nazione.