Perché Dove nessuno guarda è diventato una serie? L'intervista a Pablo Trincia
Perché e come Pablo Trincia ha trasformato un podcast di successo in una docuserie investigativa: l'intervista al protagonista di Dove nessuno guarda - la serie.
La sua voce ha accompagnato migliaia di ascoltatori alla scoperta del caso Claps. Ora, con la versione seriale di Dove nessuno guarda - la serie, Pablo Trincia rilancia, andando a cercare un pubblico ancora non avvezzo ai podcast, ma curioso di riscoprire una storia di cronaca raccontata da pochi negli anni '90 e in maniera frammentaria.
La storia della morte di Elisa Claps ha conquistato la ribalta nazionale solo vent'anni dopo, solo quando è apparso chiaro che la morte della ragazza potentina è stata l'inizio di un incredibile svista investigativa che ha portato a un altro omicidio (forse anche a più d'uno) e all'ennesimo apparato giudiziario che si lascia sfuggire tra le dita un omicida seriale tutt'altro che senza macchia e insospettabile.
In attesa di riscoprire la storia di Dove nessuno guarda osservando i volti e i corpi dei protagonisti grazie a un incredibile apparato di video, foto e materiale d'archivio inedito, abbiamo incontrato Pablo Trincia per farci spiegare perché ha deciso, con il supporto di Sky, di passare dall'audio al piccolo schermo. L'uomo che sta cambiando la geografia del podcast italiano, portando questa forma d'ascolto al sud e lontano dai centri più grandi, ci ha spiegato come sia nata Dove nessuno guarda e come gli abbia cambiato la vita.
Puoi anche leggere la recensione di Dove nessuno guarda - la serie.
Com’è nata l’idea di questo progetto podcast + docuserie?
Giuseppe De Bellis - Il progetto è coerente con il lavoro di Sky Tg24, che segue da vicino i cambiamenti dei nuovi media, il loro continuo evolversi. Il pubblico ci chiede di rimanere costantemente aggiornati ma andare anche in profondità. I temi su cui farlo sono quelli che hanno cambiato le nostre vite: ci sono fatti, eventi che cambiano anche il modo di raccontare giornalisticamente la realtà. Dove nessuno guarda è uno degli esempi del nostro approccio lavorativo, che sta diventando sempre più multipiattaforma.
Perché hai scelto la storia di Elisa Claps?
Pablo Trincia - Volevamo raccontare una grande storia true crime, un genere molto frequentato dagli appassionati di podcast. Io a gennaio di quest’anno sapevo pochissimo della cronaca nera relativa, quando è saltata fuori durante una riunione questo nome, questo caso. Con Riccardo Spagnoli e Vanessa Rafanelli abbiamo cominciato a studiarlo abbiamo capito che era un caso unico e duplice, perché gli stessi errori e le stesse sviste si erano verificati in due diversi paesi, Italia e Regno Unito. Ci è anche sembrato anche un raccolto serializzabile, perché si è svolto su un arco narrativo di 17 anni. Sky ci ha fornito appoggio immediato, credendo da subito nel progetto. Lo abbiamo realizzato in tempi record, considerando che abbiamo iniziato a lavorarci sul serio da febbraio, marzo di quest'anno.
Quindi è stato l'iter giudiziario del caso a convincerti che era la storia giusta?
Pablo Trincia - Non bisogna dimenticare che come autori spesso non ragioniamo tanto con la mente, ma compiamo le nostre scelte bastandoci sull’istinto. Io ero colpito da come nel Regno Unito le cose siano andate esattamente come a Potenza. Per me è stata una scelta istintiva: di fronte a questo killer assolutamente imperfetto che la polizia non riesce a inquadrare nonostante le sue goffaggini ho capito che era il racconto che volevo seguire.
Cosa ha convinto Sky?
Giuseppe De Bellis - Io avevo un vissuto con questa storia di cronaca. Nella mia squadra avevo un inviato da Potenza che conosceva benissimo questa vicenda. Mi è sembrata una cronaca calzante con il tema della campagna “Basta”, contro la violenza di genere, che portiamo avanti da anni a Sky.
Quali sono state le maggiori difficoltà del progetto?
Pablo Trincia - La parte più difficile è stata quella relativa ai casi inglesi. La famiglia Claps ci ha aiutato da subito, senza di loro non avrei nemmeno preso in considerazione di realizzare questa docuserie. Invece in Inghilterra nessuno - polizia, testimoni, sopravvissuti - voleva parlare. A un certo punto abbiamo avuto accesso ai materiali d’archivio e lì ci si è aperto un mondo. A quel punto problema è diventato inverso: trovare il materiale video e fotografico più rilevante, montarlo.
Raccontaci un po' come è andata in Inghilterra.
Pablo Trincia - La parte d'investigazione inglese è stata sorprendente, l'ho scoperta quasi per caso. A un certo punto, in una telefonata con gli inquirenti, è spuntata quasi per caso “la ragazza coreana”, ma solo perché ho chiesto se ci fossero altri casi in cui Restivo era stato quantomeno preso in cosiderazione come sospetto. Lo chiamiamo caso non ufficiale perché Restivo come sospettato è stato scartato quasi subito, ma ci è parso un omicidio di cui bisognava ricostruire ciò che si sa, dato che c’è un uomo in carcere che la famiglia sta tentando disperatamente di tirarlo fuori dalla galera, affrontando continui episodi oscuri di ostruzionismo.
Anche la città di Potenza, come comunità, è centrale.
Pablo Trincia - Non ci aspettavamo questa risposta emotiva così forte dalla città. Tra l’altro i dati statistici rilevano come i podcast siano un fenomeno urbano, spesso relegato al nord Italia e alle grandi città per bacino di ascoltatori. Dove nessuno guarda ha aperto questo territorio vergine. Gildo Claps mi ha chiamato per dirmi che degli sconosciuti lo fermavano, gli raccontavano che gli anziani chiedevano ai nipoti di scaricare loro app per sentire il podcast. Filomena e Danilo vengono abbracciati dagli sconosciuti per strada, finalmente ricevono solidarietà. La chiesa della Trinità è stata riaperta e le persone hanno organizzato un ascolto collettivo lì fuori. Io credo sia successo perché i Claps sono una famiglia speciale: pulita, dignitosa, che suscita empatia, che non si è fatta piegare o abbruttire dall’evento peggiore che può capitare a un nucleo affettivo. Le persone stanno anche donando denaro a Gildo per realizzare il suo sogno di creare un ambulatorio in Africa a nome della sorella.
Che giudizio ti sei fatto sulla vicenda giudiziaria?
Pablo Trincia - Mi sono fatto l’idea che il primo errore sia il più fatale. Non aver sequestrato gli abiti sporchi di sangue di Restivo è stato un grosso errore e da lì diventa difficile ammettere il passo falso e si finisce per farne altri e altri ancora, fino a intraprendere un cammino da cui tornare indietro, anche oggi dove tutto è palese, è davvero spinoso.
Qualche giorno fa mi ha scritto un ragazzo da Rimini che ha trascorso del tempo con Danilo. Ci ha raccontato diversi episodi successivi che la polizia non ha saputo rintracciare, perché non lo teneva più d’occhio. Non è facile fare indagini, ma questo scrivendo podcast si vede spessissimo. Anzi: difficile trovarne uno senza.
Per quanto riguarda Restivo, lui ha letto le nostre 3 mail, la sorella ce l’ha confermato. Non ci ha voluto rispondere, il nostro unico tramite con la famiglia è stata la sorella. Sulla PM che ha gestito il caso negli anni '90 posso rispondere con l’emoji dell’omino che alza le spalle.
Sapevate della serie della RAI in corso di lavorazione sullo stesso caso?
Pablo Trincia - Sì, lo sapevamo, ce l’aveva detto Gildo quando l’avevamo contattato. Eravamo tranquilli, sapevamo che era una fiction e che sarebbero stati prodotti completari. Secondo noi il fatto che ci stessero lavorando anche loro avvalora ulteriormente il valore di questa storia.
Dove nessuno guarda diventerà un format?
Pablo Trincia - Dove nessuno guarda è sicuramente il titolo di questo progetto, questa storia. L’idea di approfondire altre storie è sicuramente un’idea che ci interessa. Il desiderio di andare avanti su questo filone c’è.
Che ritratto di Elisa faresti, tu che ne hai anche letti i diari?
Pablo Trincia - I suoi diari mi hanno molto colpito. Aveva seguito la morte di Falcone e Borsellino in maniera acuta, faceva riflessioni in merito in maniera davvero matura. Aveva passaggi che non assoceresti a una 15enne: era estremamente consapevole di ciò che aveva, eppure la famiglia aveva il giusto, forse anche un po’ meno. Erano in cinque a dividersi un bilocale. Avevano vissuto il dramma del terremoto, avevano trasmesso ai figli i valori semplici e grandi delle persone giuste.