“Grotesquerie è un horror che ho scritto per me” Ryan Murphy e il cast raccontano la serie crime horror

“Non sapete niente di Grotesquerie perché volevo fosse un mistero”: Ryan Murphy svela finalmente le sue carte sulla sua nuova serie.

di Elisa Giudici

Del nuovo progetto di Ryan Murphy, celebratissimo autore televisivo e regista, si sa pochissimo a poche ore dal suo debutto statunitense. Non è un caso: è stato proprio lui a volere che Grotesquerie arrivasse quasi di sorpresa sugli schermi del pubblico statunitense, per accompagnarlo per un mese con dieci episodi nel mese più orrorifico dell’anno, ottobre.

Grotesquerie però non è una nuova stagione di American Horror Story, né un classico crime come Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer. È un progetto che fonde l’approccio da procedurale, la caccia uno spietato “uomo nero” ed elementi di horror, il tutto con personaggi che agiscono nel mondo della legge e della religione, per far fronte a una serie di spietati delitti.

Grotesquerie è un progetto molto intimo e personale per Murphy, che l’ha voluto scrivere tutto in prima persona, affiancandosi a collaboratori di vecchio corso e a star con cui desiderava lavorare da tempo.

Ecco cosa ci hanno raccontato su Grotesquerie il suo creatore e i protagonisti della serie:

  • Ryan Murphy - cocreatore, sceneggiatore, regista
  • Niecy Nash-Betts - detective Lois Tryon
  • Courtney B. Vance - Marshall Tryon
  • Lesley Manville - infermiera Redd
  • Micaela Diamond - Megan Duval
  • Nicholas Alexander Chavez - padre Charlie Mayhew
  • Raven Goodwin - Merritt Tryon

Grotesquerie: la nuova serie di Ryan Murphy raccontata dai suoi protagonisti

Di Grotesquerie non si sa molto, anzi: è avvolta nel più fitto mistero. Cosa dobbiamo aspettarci dalla tua nuova serie?

Ryan Murphy - Stavolta ho voluto lavorare solo per me, ho scritto tutta la serie episodio per episodio. Questo progetto per me è stato qualcosa d’intimo e personale, una riflessione su come facciamo a rimanere umani. Avevo voglia di usare la cornice del procedurale, non lo facevo da un po’. Guardate il cast. Con alcuni di loro ho lavorato più e più volte. Volevo che il mio cast si scontrasse con un “uomo nero” terribile ma molto inusuale, ma la cui identità va svelata, indizio dopo indizio. Ho amato anche i nuovi arrivi nel cast, le persone con cui non avevo mai lavorato prima. Del risultato finale mi piace molto che sia così misterioso: a chi si è occupato del lancio ho chiesto di non rivelare che lo stretto necessario. Voglio che il pubblico non sappia già tutto, come accade oggi. Le persone devono avere esperienza di prima mano, inedita, dello show ogni settimana.

Non è la prima volta che un tuo progetto mescola horror e “religiouscore”. Come racconteresti Grotesquerie, dato che si sa così poco di questa serie?

Ryan Murphy - Lo definirei una serie drammatica di genere thriller con influenze horror, in questo ordine. Si dà la caccia a un serial killer. È un procedurale e c’è una famiglia bizzarra a cui succedono brutte cose. Perché l’horror? Perché è un genere ti fa provare sensazioni forti e questo mi piace. E mi capita raramente di parlare di ciò che mi piace. Vedere gli horror mi fa l’effetto delle commedie romantiche per un altro tipo di spettatore, in un certo senso per me è puro escapismo. La paura ti aiuta a mettere le tue ansie in una scatola. In Grotesquerie poi si scontrano il bene contro il male, uno scontro che sentiamo molto vicino in questo periodo, considerando cosa accade nel mondo. L’horror ci aiuta a mettere ordine in un mondo che sentiamo caotico.

Prima di scriverlo ho studiato molta filosofia, ho letto molti filosofi. Adoro che tutti questi personaggi, per quanto siano danneggiati o fregati, cerchino sempre la luce, l’amore. Hanno uno strano ottimismo di fondo. L’horror può essere violento e cinico. Grotesquerie è violento ma sicuramente non cinico, anzi mi ha dato speranza. Questa settimana ho finito il montaggio dell’ultimo episodio e posso dire: è scioccante ma ti dà speranza. E voglio dirlo sottolineando che l’ultima puntata andrà in onda subito prima delle elezioni di novembre.

Dicci qualcosa della genesi del progetto. Cosa lo rende così personale?

Ryan Murphy - Quella di Grotesquerie stata un’esperienza differente dal solito. Siccome l’ho scritto tutto da solo e in una sola sessione, è diverso da altri miei progetti, e anche il processo per scritturare gli attori è stato sui generis. Quando li ho contattati ero alla seconda o terza revisione del testo. Gli ho spiegato quello che volevo da loro, la mia fantasia, ma ho richiesto a loro anche di darmi i loro input, senza filtri.

A questo punto della mia carriera non sono interessato al risultato ma al processo. Stavolta è stato fluido, libero. A un certo punto Micaela girava una scena in cui camminava in questo atrio e le ho detto “abbiamo un’ora libera, falla da posseduta” e ci abbiamo provato, liberamente, giusto per vedere se funzionava. Per quanto riguarda Lesley, l’ho approcciata da fan, perché volevo lavorare con lei. È stato fantastico averla a disposizione.

Sei tornato a collaborare con Jon Robin Baitz.

Ryan Murphy - Sì, io e lui siamo molto amici ma siamo anche due persone completamente diverse. Lui è davvero un’intellettuale, un drammaturgo teatrale, un uomo coltissimo se mai ne è esistito uno. Lui scrive per il teatro, guarda il mondo e la scrittura in modo opposto da me. Stavolta siamo partiti da alcune idee precise e lui era molto coinvolto da questo mondo che gli ho messo davanti. Mi piace lavorare con lui perché io sono uno scrittore e un uomo di pancia, invece lui è celebrale e alza sempre di livello di quello a cui collabora.

Dopo Monster è il secondo progetto che affronti con Ryan, il secondo personaggio molto estremo che ti affida. Hai avuto il tempo di decomprimere tra Dahmer e padre Charlie?

Nicholas Alexander Chavez - Ryan è un visionario che crea mondi. Sono riuscito a lavorare con lui su due progetti molto, molto differenti e ne sono estremamente soddisfatto. “Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer” era basato su fatti reali, mentre qui l’unico limite è l’immaginazione e la creatività di Ryan, per cui sono state due esperienze differenti. È stato un onore poter lavorare con lui su entrambi.

Non c’è stato davvero il tempo di decomprimere tra un ruolo e l’altro. Rispetto a un ruolo basato su un criminale di cui ci sono filmati e registrazioni, uno dei benefit di interpretare un personaggio come padre Charlie è che puoi completamente seguire i tuoi istinti, le tue scelte più audaci. La cosa bella è che tutti intorno a me sul set mi hanno permesso e aiutato a farlo.

Niecy, non capita spesso a chi ha un passato nel mondo della comicità di affrontare ruoli come quelli che ti affida Ryan.

Niecy Nash-Betts - Si dice che chi ti fa ridere possa farti piangere ma non il contrario, ma a conti fatti capita raramente che ci si fidi di un comico in un ruolo drammatico. Io sono molto grata di essere stata accolta nel lato drammatico della televisione da tempo e in particolare sono grata a Ryan perché occasioni di questo tipo e ruoli come quello che mi ha dato qui vengono offerti poche volte a donne. A donne afroamericane poi ancor meno.

Com’è lavorare con Ryan, da interpreti e da produttori?

Niecy Nash-Betts - Quando Ryan mi ha chiamato e presentato il cast, mi sono subito fidata. Lui sa creare uno spazio sicuro per tutti. Riesce a creare un’unità familiare, fa sentire il cast tutto unito.

Micaela, quali sono le sfide d’interpretare una suora? Per Ryan poi, che potremmo dire è un’estimatore della professione.

Micaela Diamond - Penso che il pubblico sia stato torturato dalle suore per molto tempo, senza contare tutta la galleria di suore create da Ryan (ride). Le suore sono particolari: le loro vite sono nascoste ma sono persone accessibili. Per questo come personaggi possono diventare pure, corrotte, ci puoi proiettare sopra le tue fantasie. L’horror spesso sembra chiederci “se le suore fanno fatica a fare le brave, che farà il resto di noi?” Io ho cercato la mia versione dell’essere suora con Meghan. Diciamo che se sei una suora creata da Ryan Murphy, puoi giustificare molte tue azioni. (ride)

Sappiamo che Travis Kelce avrà una parte, ancora misteriosa. Com’è stato lavorare con uno sportivo così chiacchierato, ma fuori dall’ambito recitativo?

Ryan Murphy - Adoro Travis, ho parlato con lui tempo fa quando l’ho incontrato e mi ha detto che apprezzava il mio lavoro. Mi ha chiesto consiglio su un possibile esordio recitativo e ho gli ho dato alcuni consigli indossando le vesti di un padre. Gli ho detto che per quanto ti dicono che tu sia una star, in realtà serve solo un certo tipo di di carisma e lui ce l’ha. Ho buttato lì che avremmo potuto lavorare insieme e lui mi ha risposto “no, ora, facciamolo ora”. Era così risoluto che ho deciso di scrivere il ruolo di Taylor per lui. Sul set si è fatto affiancare da un coach per la recitazione e continuava a dirmi “io posso essere allenato, posso essere guidato, insegnami, allenami”.

Lesley, nel tuo curriculum hai pochissimi progetti come questo. Come mai hai detto sì a Ryan per Grotesquerie?

Lesley Manville - Per me tutto comincia sempre la sceneggiatura. Io ero lusingata e impressionata da come lui avesse scritto il ruolo dell’infermiera pensando specificamente a me. Mi ha lasciato lo spazio di dire la mia, ma davvero, era già lì il personaggio ed era straordinario. Come attrice non voglio interpretare sempre lo stesso personaggio, voglio incarnare anche donne che non mi somiglino: questo ruolo esaudisce molti di questi desiderata. Il modo in cui ha creato per me l’infermiera Redd, come l’ha fatta evolvere, il fatto che ci sia anche un certo umorismo in lei…tutto questo mi ha convinto. Mi ha stupito anche come abbiamo girato la serie, mi ha ricordato come si lavora a teatro. In un certo senso lavorare con Ryan è molto teatrale.

È vero che non ho fatto molti horror, ma il mio personaggio qui è solo sfiorato da quell’aspetto della storia. Lavorare in un titolo horror comunque è stato sicuramente un altro motivo per dire sì. Non posso rispondere a questa domanda perché non sono molto brava a vedere gli horror, mi spaventano tantissimo, quindi stavolta sarò costretta a tenere gli occhi ben aperti per tutto il tempo. (ride)