L’attacco dei giganti è finito: cosa ci lascia l’anime che ha definito l’ultimo decennio

La storia di Eren, Armin e Mikasa è giunta al termine, ma cosa lascia dietro di sé l’anime di L’attacco dei giganti dopo 10 anni di narrazione?

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L’attacco dei giganti è riuscito a mettere la parola fine a una storia cominciata dieci anni fa in campo animato. Con la messa in onda di Attack on Titan - The Final Chapters (uno speciale di un’ora e mezza, diviso in capitoli, già disponibile su Crunchyroll) si chiude un’era inevitabilmente definita da Eren Jaeger. Il protagonista del manga di Hajime Isayama è rimasto il centro narrativo di una storia che sin dalle sue prime battute ha saputo catturare il pubblico giapponese e internazionale, ma che in pochi avrebbero potuto prevedere sarebbe andata nella direzione che ha poi preso.

Quello di Eren è uno degli archi narrativi più ferocemente dibattuti in campo anime del decennio e oltre. La sua infatti è una storia controversa di una vittima che diventa carnefice, di un oppresso a cui viene dato un enorme potere bellico (il gigante dell’attacco, la traduzione corretta del titolo giapponese, intuibile a posteriori). Scopriamo in seguito, una sorta di onniscienza divina destinata a riscrivere ogni singola azione che subisce da ragazzino in una decisione strategica inferta volontariamente a sé stesso. Tradito da infiltrati che credeva amici, oggetto di un orrido esperimento paterno, manipolato dal fratellastro, divenuto volto di una resistenza disperata dall’umanità contro i giganti, mai predestinato ma sempre fautore di sé stesso, Eren diventa in ultima istanza il traditore di tutti, specie delle persone a lui più vicine e fedeli, autore di un genocidio dalle proporzioni tali da renderlo irredimibile.

L’attacco dei giganti è finito: cosa ci lascia l’anime che ha definito l’ultimo decennio

L’ultima, atroce rivelazione arriva proprio nel finale e lo lega a doppio filo l’incipit della storia, riscrivendo anche il casus belli, il trauma freudiano da cui tutto comincia. L’eroe divenuto anarchico infligge a sé stesso il trauma iniziale, prende su di sé il carico di tutta la responsabilità del mondo, mentre la possibilità di un finale differente, più positivo, si rivela impossibile. Ma davvero non c’è speranza per l’umanità o è solo l’esito della mente di Eren, incapace di immaginare un futuro diverso, schiava della sua sete insaziabile di libertà, intesa quasi come schiavitù del libero arbitrio, che spera di trovare nel mondo oltre le mura un luogo privo delle meschinità dell’essere umano, vuoto, da riempire? È una delle tante domande che lascia dietro di sé un finale complesso, tutto da valutare, che ha il pregio di essere ricco di sfumature amarissime, capace di accoppiare ogni speranza a una scelta atroce, coraggioso abbastanza da condannare molti dei protagonisti - in primis Eren - a non potersi redimere dalle proprie azioni.

L’attacco dei giganti: Eren vs Isayama

Il finale pensato da Hajime Isayama porta a un mondo senza titani, ma incapace di scrollarsi di dosso la necessità della guerra, cagionata dalla paura dell’altro. Il progresso tecnologico si rivela un ciclo di costruzione e distruzione, le gesta degli eroi sopravvissuti creati da Eren un tampone momentaneo a quello che sembra un destino ineluttabile. Il potere dei titani non cambia la genetica stessa dell’essere umano, il desiderio di moltiplicarsi e l’istinto di uccidersi a vicenda. Se l’azione coraggiosa di un donna pone fine all’estinzione di massa del genere umano, il suo sacrificio non riesce a cambiare nemmeno il suo stesso destino.

Seppur con qualche contorsione e sbavatura, il finale di L’attacco dei giganti è sostanzialmente coerente con quanto la storia suggeriva nel suo leggere la natura umana sin dalle prime svolte, dai primi tradimenti. Una visione pessimistica e per certi versi apocalittica, come forse non si vedeva dai tempi di Neon Genesis Evangelion. Difficile non pensare al “Progetto di perfezionamento dell’essere umano” di fronte al mare di sangue in cui sono immersi Armin e Eren nel loro ultimo, ambiguo incontro, così come lo erano Shinji e Asuka in quell’altro finale animato epocale.

L’attacco dei giganti è finito: cosa ci lascia l’anime che ha definito l’ultimo decennio

Il meglio di sé L’attacco dei giganti l’ha dato però nell’arco narrativo precedente, quando ha innescato l’inversione definitiva del ruolo di Eren, introducendo il punto di vista degli abitanti di Marley, trasformando il padre di Eren da mastro burattinaio della storia alla prima pedina che il figlio muove su una scacchiera lorda di sangue.

Eren è diventato l’ombra e l’alter ego di Isayama, come il mangaka ha spiegato in un’intervista rilasciata al New York Times in occasione della messa in onda del finale. Dapprima concentrato sull’evitare di farsi cancellare il manga, assediato dalle critiche per il suo disegno mediocre, Isayama ha cercato in questa storia una libertà espressiva che il suo stesso successo gli ha negato. La popolarità estrema raggiunta dalle vicende del manga l’ha inchiodato, a suo dire, a uno sviluppo tracciato nei primi capitoli e che, un decennio dopo, vive come una decisione del suo sé più giovane a cui non ha potuto che rimettersi. Isayama ostaggio del suo successo e sorpreso a più riprese da un pubblico più svelava la natura di antagonista di Eren, più tifava per lui, come i lealisti del manga.

Il manga poi ha prestato il fianco a innumerevoli letture storiche e politiche. Gli appassionati di storiografia non hanno dovuto scavare molto per trovare le fonti d’ispirazione d’Isayama che, più o meno consapevolmente, ha creato nella sua seconda parte una storia che richiama da vicino persecuzioni e tragedie della Seconda guerra mondiale. L’attacco dei giganti è stato anche questo: l’infinito tentativo del pubblico occidentale di leggere l’orientamento o il messaggio politico dentro l’opera, spesso però compiendo l’errore di utilizzare un metro non giapponese nel farlo, usando i propri parametri come base di partenza per misurare le azioni e le decisioni dell’autore.

L’attacco dei giganti: le fragilità dell’animazione giapponese

La serializzazione di questo anime ha inoltre evidenziato impietosamente una crisi che attraversa il mondo dell’animazione giapponese proprio nel momento in cui raggiunge un picco mai visto di popolarità internazionale.

L’enormità di tempo trascorsa tra la prima e la seconda stagione dell’anime di L’attacco dei giganti, i continui passaggi da uno studio d’animazione all’altro, i ritardi, l’incapacità di dettare un calendario per l’animazione della conclusione (a manga già concluso), la conclusione fornita in forma ibrida, metà film metà anime, l’incapacità perfino d’intitolare “The Final Season” la vera conclusione della vicenda. L’attacco dei giganti ha evidenziato impietosamente come, nonostante l’enorme successo, in questo genere d’adattamenti si navighi a vista, a spanne, in qualche modo rischiando sempre di uscirne in perdita.

L’attacco dei giganti è finito: cosa ci lascia l’anime che ha definito l’ultimo decennio

Pur essendo immensamente popolare, L’attacco dei giganti ha perso il suo momento e parte del suo pubblico proprio per l’incapacità di dettare un ritmo, di darsi una scadenza, di avere una stabilità produttiva. I suoi problemi sono la summa di un mondo dell’animazione giapponese dove, al di fuori di pochi titoli con un sicuro slot televisivo e introiti pubblicitari stabili, vige un sistema di racconta dei fondi - tramite vendita del home video - ormai superato, dove è impossibile dire quando e se il proseguo di anime davvero popolari vedranno la luce.

Un problema che la gestione confusa e contraddittoria del finale, liquidato con un paio di simil film televisivi conclusivi che avrebbero potuto essere una stagione intera o un evento cinematografico, evidenzia come ancora lontano dalla soluzione. A farne le spese è stato anche il momento di visione collettiva, internazionale e condivisa dell’anime evento del decennio, che ha portato molti a perdersi per strada. Non per mancanza d’interesse, ma per impazienza e stanchezza di fronte a guizzi improvvisi seguiti da attese lunghissime e impossibili da calendarizzare.

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