La cancel culture nelle serie TV, fra USA e Italia: cos’è, come interviene, cosa comporta

Strano, ma vero: spesso sono le sitcom a finire nel mirino della cancel culture. Scopriamo insieme in quali casi, ripercorrendo la storia recente

di Chiara Poli

Quando arrivi a censurare un capolavoro come Via col vento dopo quasi un secolo, perché la cosiddetta e tanto di moda cancel culture lo considera un film razzista, da boicottare, hai un problema.

Perché film e serie TV non andrebbero mai censurati, bensì compresi. Basterebbe impegnarsi a far sì che i ragazzi - perché si presume che gli adulti già ce l’abbiano - si costruiscano una coscienza critica, la capacità di “leggere” un film o una serie contestualizzandoli, comprendendo il periodo storico, le condizioni socio-economiche e politiche che gli hanno dato vita.

Il mio diploma alla Civica Scuola di Cinema di Milano, e i miei studi universitari nello stesso campo, gridano vendetta ogni volta che la scure della censura si abbatte su un prodotto audiovisivo di grande qualità solo perché qualcuno pensa che qualcun altro potrebbe sentirsi offeso. Perché è di questo che si tratta: non di migliaia di persone che protestano contro i messaggi “sbagliati” lanciati da un film o una serie, bensì dei censori - questo sono - che preventivamente tolgono di mezzo una parte o l’intera opera affinché nessuno se ne risenta.

Cos’è la cancel culture


La cancel culture prevede l’eliminazione di qualcosa - eventi reali o storici - che la sensibilità o semplicemente il buonsenso contemporanei rifiutano. Se ne elimina il ricordo come per magia, togliendoli dal contesto con lo scopo dichiarato di non risultare offensivi per nessuno e col risultato di alleggerirsi la coscienza. Si nasconde la polvere sotto al tappeto, fingendo che tutto sia pulito. Ma la polvere, lo sappiamo, resta lì.

Ci si illude e s’illudono gli spettatori. Come se bastasse eliminare le scene del Ku Klux Klan da Nascita di una nazione (1914) di David W. Griffith nel film che ne racconta la storia. Vergognarsi di un passato ingiusto e violento non significa fingere che non sia esistito. Non è certo cancellando la schiavitù da un film o una serie che si riabilita l’umanità. Lo si fa, semmai, realizzando capolavori come Amistad di Steven Spielberg per spiegare, mostrandole, le mille ragioni per cui la schiavitù era sbagliata.

Se al cancel culture si applicasse a prodotti che creano provatamente dolore o disagio a un’ampia categoria di persone - siano esse donne, uomini, omosessuali, eterosessuali, alti, bassi, magri, grassi, bianchi, neri o qualsiasi altra cosa - allora si tratterebbe di una “sensibility culture”, per dirla alla Jane Austen. Il suo romanzo Ragione e sentimento (Sense and Sensibility in lingua originale), più volte adattato per il grande e piccolo schermo, mette in contrapposizione proprio quegli elementi che, se qualcuno si sentisse gravemente offeso o soffrisse per un film o una serie, avrebbero ragione d’essere analizzati. Ma analizzati, non censurati. Cosa che non hanno capito gli sceneggiatori di Lezioni di chimica, la serie con Brie Larson ambientata negli anni ’50 in cui s’ignora beatamente l’esistenza della segregazione razziale, riscrivendo la storia.

Può capitare, per carità - ci mancherebbe anche - di sentirsi a disagio di fronte a certi spettacoli. Per quello esistono i divieti ai minori e i famosi “disclaimer” che avvisano di contenuti violenti in un episodio. Forse in America si pensa che nessuno li legga?

Eddie Murphy negli anni ’80 aveva messo in scena uno spettacolo comico ripreso interamente e trasformato in un film del 1987: Nudo e crudo. Io lo vidi all’epoca - ero una ragazzina - e il modo in cui il celebre attore parlava delle donne, per far ridere il pubblico, mi diede parecchio fastidio e non mi divertiva affatto. Ma pur essendo un’adolescente, capivo che si trattava solo di uno spettacolo. Punto.

Oggi credo che Nudo e crudo sia sparito dai radar, e che sarà molto difficile che venga nuovamente riproposto al grande pubblico. Ma finché si tratta di uno spettacolo di comicità trasformato in un film non memorabile è un conto. Quando si parla di pietre miliari, il discorso cambia.

La cancel culture nelle serie TV: tre casi Made in USA

Dal grande schermo a quello piccolo, domestico, il passo è stato fin troppo breve. A finire nel mirino della cancel culture sono state molte serie, anche grandi classici della TV, e a parere di chi scrive ci sono finite tutte ingiustificatamente.

Inoltre, strano ma vero, se ci fate caso scoprirete che sono in particolare modo le sitcom - ma non solo - a finire nell'occhio del ciclone: sono prodotti che hanno una larghissima diffusione e per questo si crede, evidentemente, che su certe cose non si possa più scherzare. Secondo qualcuno, almeno.

Hazzard e il Generale Lee


Inizio raccontandovi il caso di Hazzard - la serie con la bandiera confederata dipinta sopra al Generale Lee, l’auto dei protagonisti - che già nel 2015, cioè in epoca pre-metoo, finisce nelle fauci della censura.

Il 17 giugno 2015, giorno tristemente passato alla storia come “il massacro di Charleston”, un ventenne di nome Dylann Roof sparò all’interno della Emanuel African Methodist Episcopal Church uccidendo 9 persone e ferendone una decima.

La chiesa, risalente ai primi dell’800 e nota per essere stata un centro nevralgico del Movimento per i Diritti Civili, era famosa per il suo coro gospel ed era frequentata da persone afroamericane. Roof, catturato dalla polizia, dichiarò che il suo scopo era quello di scatenare una guerra razziale negli Stati Uniti.

Il network TV Land, che stava replicando la storica serie degli anni ’80 Hazzard, sospese la messa in onda per via della presenza della già citata bandiera confederata. John Schneider, l’ex interprete di Bo Duke, si dichiarò sgomento per il fatto che la serie, “con i suoi antichi valori di onestà, coraggio e cavalleria” venisse messa al bando per le azioni di un individuo fuorviato. E che la serie, e la famiglia protagonista, non sono mai state razziste.

Ed è proprio questo il punto: per le azioni di qualche psicopatico, odiatore seriale chiaramente squilibrato, si mettono in discussioni opere che hanno accompagnato generazioni di spettatori senza che nessuno di questi pensasse mai che la schiavitù fosse una buona cosa.

A maggior ragione fuori dagli USA, dove da bambini si ammirava il Generale Lee senza nemmeno sapere cosa fosse una bandiera confederata.

Hazzard resta tutt’oggi una gran serie: divertente, semplice, con personaggi trasparenti e “cattivi” che alla fine non sono mai così cattivi (a cominciare da Boss Hogg). Una serie che tutto si propone, tranne che di celebrare lo schiavismo. Ciononostante, la censura USA la colpisce da allora in nome della cancel culture.

The Office: questo episodio deve sparire!


Perfino il remake americano di The Office - perché grazie al cielo gli inglesi mai si sognerebbero di censurare l’originale di e con Ricky Gervais - è finito nel mirino. Al centro delle polemiche, quasi inutile dirlo, il personaggio di Michael Scott, interpretato dal grande Steve Carell.

Michael è una persona inadeguata. Un capo che non merita il proprio posto, un uomo che ha un senso dell’umorismo inadatto a ogni sorta di situazione, uno che crede che fare battute razziste, sessiste e omofobe che solo lui trova divertenti lo renda “alternativo”, “moderno”, simpatico agli occhi di tutti. Il punto è che proprio la sua inadeguatezza lo rende così funzionale nella serie. Esattamente come il suo corrispettivo inglese, David, interpretato dallo stesso Ricky Gervais.

Michael è un disastro su tutta la linea, per tutte le 7 stagioni in cui resta al suo posto. Ma l’episodio incriminato, quello sparito da Comedy Central durante le repliche del 2021 (e mai più visto su un network USA da allora) è un episodio molto preciso. Il secondo della prima stagione, intitolato “Diversity Day” (“Integrazione” nella versione italiana). Sì, certo: Michael deve presentarsi al pubblico e ai colleghi e la sua inadeguatezza sociale tocca il fondo. Sì, certo: Michael usa stereotipi razzisti per fare umorismo di bassa lega che non fa ridere nessuno. Sì, certo: Michael è fastidioso mentre lo fa, ma il fastidio che scatena fa assolutamente parte del gioco. Ricky Gervais, lo conoscerete anche al di fuori di The Office (per esempio in quel capolavoro di After Life, in cui puta caso è arrabbiato col mondo e politicamente scorretto), ha firmato anche il remake americano di The Office e ha fatto di Michael l’evoluzione del suo David. Solo che ha sbagliato Paese: la “sensibilità” americana ha pensato che le battute di Michael sconfinassero oltre il limite del lecito e ha fatto sparire l’episodio. A dimostrazione di come la questione della cancel culture sia prettamente americana, ma finisca per affliggere anche altri Paesi (e relativi spettatori) con le sue censure.

Seinfeld, il grande amore degli americani


Ve ne parlo perché ho seguito il caso, come tutti i precedenti, e perché Seinfeld - serie che in Italia non ha avuto un grandissimo successo - negli USA è una vera e propria pietra miliare. Una serie amatissima, che tutti conoscono o hanno visto. Io ce l’ho in DVD, rigorosamente in versione inglese, e la vidi prima ancora che in Italia la mandasse in onda. Vi basti sapere che Seinfeld è del 1989 e da noi è arrivata, su Telemontecarlo 2, solo nel 1995. Per proseguire più avanti su Videomusic e poi passare, rigorosamente in orario notturno, anche su qualche altro canale. Ma niente di più.

In effetti il tipo di umorismo che caratterizza la serie è talmente legato alla cultura americana che i nostri inviati agli screeners (cioè chi si reca a Los Angeles per vedere le anteprime dei nuovi programmi USA e decidere se acquistarli) avranno pensato che nessuno l’avrebbe capita, qui. Alla fine degli anni ’80 non sbagliavano, ma ora siamo adulti e vaccinati e un ripasso non ci farebbe male. Fatto sta che perfino Seinfeld, amata negli USA come qui amano Don Matteo o Un medico in famiglia, per capirci, è stata censurata. Come per The Office, un episodio è sparito dalle repliche. Censurato. Via.

Come New Moon Rising (Luna nuova, l’episodio di Buffy della quarta stagione che per anni è rimasto inedito in Italia perché mostrava il cambiamento di orientamento sessuale di Willow). Noi non sapevamo nemmeno che esistesse, ai tempi della prima messa in onda di Buffy. Oggi però sappiamo, l’abbiamo saputo in tempo reale, che “The Puerto Rican Day” di Seinfeld, fra l’altro uno dei più amati fra gli episodi della serie, e non crederete al motivo.

Con la consueta goffaggine, Kramer (Michael Richards) dà fuoco - del tutto involontariamente - a una bandiera di Porto Rico proprio nel giorno della Parata che celebra gli immigrati portoricani. Per spegnare il fuoco, la getta a terra e la calpesta. Non pago, fa una battutaccia su come gli inevitabili segni del passaggio di una folla di gente per la parata fossero “come un giorno qualunque a Porto Rico”. Apriti, cielo. Troppo. Via. Da cancellare.

Appendice: Pappa & Ciccia, Spacey e Polanski


La censura negli USA ha colpito anche Pappa & Ciccia, la classica sitcom che tanto successo ha avuto anche da noi. Ma non per una questione di contenuti, bensì di personalità: le affermazioni fuori luogo della protagonista Roseanne Barr si sono ripercosse sulla messa in onda della sua serie più famosa.

Questo è un caso specifico di cancel culture: questo è un caso in cui si colpiscono le opere per le colpe dei loro autori.

Il dibattito è lungo, ma io ve lo riassumo così: se smettiamo di far recitare un attore di talento come Kevin Spacey, finora scagionato in aula da tutte le accuse di molestie che l'hanno esiliato per anni da Hollywood, allora non dovremmo esaltarci per l'omaggio a Roman Polanski a Venezia. Polanski è stato condannato per stupro negli Stati Uniti, per aver avuto un rapporto con una dodicenne quando lui aveva 43 anni. Un fatto assodato, pur risalente a molti anni fa. E allora che si fa? Ecco cosa si fa: o separiamo sempre l'uomo (o la donna) dall'artista, o non lo facciamo mai. La cancel culture a targhe alterne mi piace ancor meno di quella “generica”. Lo ripeto a ogni occasione.

La cancel culture nelle serie TV: l’Italia


E da noi? Mentre a intervalli regolari certe associazioni accusano la TV italiana di celebrare il crimine e la criminalità organizzata con serie come Gomorra e Mare fuori, com’è la situazione cancel culture in Italia?

Decisamente migliore di quella negli USA. Alcune serie, sulla TV generalista italiana, mai si sono viste e mai si vedranno, ma per fortuna ci sono i canali tematici satellitari e i servizi streaming.

Noi abbiamo una lunghissima storia di censura. Come nel già citato episodio di Buffy con New Moon Rising, ma anche con The Body, Un corpo freddo, l’episodio della stagione 5 in cui Buffy trova la madre Joyce morta sul divano di casa, che causò la sospensione immediata della messa in onda in Italia.

Poi ci fu l’altrettanto celebre caso del bacio omosessuale di Jack in Dawson’s Creek, prontamente censurato per le proteste dei genitori contro una serie rivolta agli adolescenti (per fortuna, se così la vogliamo chiamare, era il 2001. Sono passati 22 anni, oggi non succederebbe nemmeno sulla TV generalista - mi auguro).

Ci sono tanti altri casi dell’accetta della censura che ha colpito le serie TV: Le regole del delitto perfetto venne censurata su Rai 2 nel non lontano - purtroppo - 2016 per le scene di sesso omosessuale che coinvolgevano la coppia formata da Colin e Oliver, ma noi telespettatori di FOX abbiamo visto l’episodio com’era girato. Per fortuna.

Sempre la Rai ha censurato una parte dell’episodio della serie L’amica geniale, quella tratta dai romanzi di Elena Ferrante, quando la protagonista viene di fatto stuprata da un adulto, per la precisione il padre del ragazzo di cui è da sempre innamorata. Anche qui: censurata sulla Rai, in versione integrale su TimVision.

La nostra però non è cancel culture. La nostra è la cara (si fa per dire), vecchia, tradizionalissima censura. Il motivo per cui il geniale film dei Monty Phyton intitolato Brian di Nazareth, e parodia della vita di Gesù, datato 1979, nei cinema italiani è uscito solo nel 1991 (e io c’ero, per mia fortuna). Il tutto per ovvi motivi di “presunta blasfemia”. Su certe cose, in Italia, ancora oggi è molto difficile fare satira e umorismo. Figuriamoci l’umorismo feroce dei Monty Phyton.

In Italia si eliminano scene o si saltano episodi per pudore. Perché si ritiene che il pubblico non sia in grado di assistere a certi spettacoli giudicati “poco edificanti”. O perché si evita di incorrere in sanzioni o proteste.

E anche qui, pur non trattandosi di cancel culture, ci sarebbe da discutere parecchio.

Perché la vera emergenza - stranamente non considerata tale - del Paese è la violenza contro le donne, fra aggressioni sessuali e femminicidio. E intanto si pensa bene di censurare in TV la brutalità di uno stupro, come se si offendesse il pudore di telespettatori che ogni giorno sono costretti ad ascoltare la storia del nuovo branco che ha distrutto la vita di una ragazzina e se ne vanta, o dell’ex fidanzato che ha ammazzato la donna che non lo voleva più… Magari proprio perché era violento.

Strano Paese, il nostro. Strana questione, la censura. Strana, a mio parere, la cancel culture.

Bisognerebbe parlarne, di certe questioni. Anche nelle serie TV rivolte agli adolescenti. Perché basterebbe insegnar loro - io l’ho fatto e ne sono fiera - nelle scuole a guardare un film o una serie con la corretta distanza critica.

Ma credo che il concetto non sia ancora passato. Purtroppo.