Luther e il fascino delle serie britanniche: speciale Verso l'inferno
Luther: Verso l'inferno ha un simbolo. Il simbolo del successo, nonostante tutto
È un simbolo molto raro. A me piace chiamarlo “medaglia”: la medaglia di Netflix. Il simbolo che viene applicato ai titoli che restano oltre 4 settimane nella top ten.
E l’ultimo film TV di Luther, la serie BBC che ha lanciato Idris Elba nel firmamento delle stelle (anche) del cinema, presentato da Netflix in collaborazione con BBC, ha ottenuto quella medaglia.
Non che ci sia da stupirsi: la serie britannica creata da Neil Cross (Spooks) è un vero gioiello televisivo.
Il personaggio dell’ispettore John Luther ha tutto ciò che serve per accattivarsi istantaneamente le simpatie del pubblico. È il classico antieroe, disposto a tutto pur di prendere i criminali. Perfino a trattare con alcuni di loro, a usare metodi fuori dalla legalità, a dare spazio a quell’aspetto brutale che le ingiustizie scatenano dentro di lui. Mettiamoci una donna pericolosa che fa il suo ingresso nell’episodio pilota, Alice Morgan (Ruth Wilson, The Affair) e siamo fregati. Incollati alla serie fin dal primo episodio.
E così, Luther - diviso in film TV come molte altre splendide serie britanniche crime e poliziesche - ci ha regalato 20 film per il piccolo schermo. Film che di piccolo non hanno proprio niente.
E Verso l’inferno conferma le caratteristiche tipiche dei crime UK di cui parliamo nel podcast di Gamesurf, consigliandovi le migliori. A dispetto delle serie svedesi o delle serie coreani che vanno tanto di moda e dimostrando come anche una seconda parte deludente si superi grazie all'amore per un personaggio.
La trama di Luther: verso l’inferno
Il DCI (detective capo ispettore) John Luther indaga su una inconsueta scena del crimine: il cadavere di una donna scomparsa 7 anni prima viene ritrovato da un ragazzo che chiama i soccorsi. Ma quando polizia e ambulanze arrivano, il ragazzo è scomparso. Fa tutto parte del malvagio piano criminale di David (Andy Serkis, il Gollum de Il signore degli anelli) per dare la caccia al DCI John Luther. Nel suo mirino, infatti, c’è lui. E non importa quante vite dovrà togliere per arrivare a farlo quasi impazzire. Soprattutto se, stavolta, Luther deve effettivamente operare al di fuori della legge. Quando non è più un poliziotto…
Luther ci trascina all’inferno
Più che verso l’inferno, qui ci finiamo dentro. Entro i primi 15 minuti abbiamo già visto morte, fiamme, prigionia. E no, in effetti non abbiamo ancora visto niente…
Ci troviamo nel mezzo di uno scontro generazionale - Luther aveva preso il posto di Martin Schenk (Dermot Crowley, storico personaggio della serie), ora Odette Raine (Cynthia Erivo, doppia candidatura agli Oscar per Harriet) prende il suo. E servirà l’esperienza di tutte le generazioni di detective per incastrare il criminale che rappresenta, per Luther, ciò che Moriarty rappresenta per Sherlock Holmes: il nemico di sempre, il più astuto, il più motivato, quello apparentemente impossibile da sconfiggere.
In una riflessione sui rischi di affidare completamente le nostre vite alla tecnologia digitale, in una celebrazione della violazione della privacy in tutti i modi e in tutti i sensi possibili, fra snuff movie e ricatti, fra vergogna e terrore del giudizio altrui, fra infrazioni alla legge e crimini veri e propri.
A quattro anni dalla fine (senza fine) della serie, ci ritroviamo in piena Piccadilly Circus a guardare il caos. Come imbambolati. E non importa se la seconda parte - quasi esattamente da metà - del film non è all’altezza delle premesse narrative. Non importa se esagera. Non importa perché Luther ci mancava così tanto da tenerci incollati a questo film. Tutti. Per più di 4 settimane consecutive.
Tanto da farci scoprire quella medaglia che accompagna il titolo, ricordandoci molti dei motivi che rendono le serie crime britanniche qualcosa di speciale.
Il fascino delle serie britanniche
Con le loro ambientazioni ben lontane da quegli edifici ultramoderni che compaiono nei polizieschi made in USA. Con la loro storia millenaria che in qualche modo rientra sempre in qualche aspetto della trama. Con i loro personaggi squisitamente tormentati, imperfettamente umani, lontani da quell’immagine eroica che fin troppo spesso abbiamo visto celebrata dalla serie a stelle e strisce. Così ci conquistano. Con tutto questo e con i loro investigatori che, quando le loro vite personali e le loro famiglie entrano nelle indagini, al contrario degli algidi e professionali detective americani, perdono il controllo. Infrangono le regole. Mentono. Falsificano o rubano documenti. Fanno tutto ciò che serve per far sì che nessuno finisca nelle grinfie dei cattivi per colpa loro. Perché se la vergogna ucciderebbe chi dovesse trovare i propri segreti più insospettabili spiattellati ovunque, nulla è paragonabile ai danni che il senso di colpa può esercitare sui poliziotti. Soprattutto su quelli che più di una volta hanno infranto la legge per fare il proprio lavoro.
Il lavoro di Idris Elba nei panni di John Luther è fondamentale, stavolta più che mai, nelle storie di Luther. La sua interpretazione ha mescolato una performance sfumata con la narrativa grezza della serie, creando un mix unico, un personaggio memorabile che ha catturato il nostro interesse. E lo conserverà per sempre.