Non ci resta che il crimine - la serie, negli anni ‘70 con Giallini & co: “in Italia era come stare in guerra”

I protagonisti della trilogia cinematografica tornano su Sky con una serie che li catapulta negli anni ‘70: ecco cosa ci ha raccontato il cast di Non ci resta che il crimine - la serie.

Non ci resta che il crimine  la serie negli anni 70 con Giallini  co in Italia era come stare in guerra

C’è un’atmosfera ironica, quasi strafottente alla conferenza stampa di presentazione di Non ci resta che il crimine - la serie. Sembra essere un buon assaggio dell’attitudine romanesca con cui i protagonisti della fortunata trilogia cinematografica sono tornati sul set. Il set deve essere stato parecchio da ridere, tanto che tra produttori s’ironizza: il backstage dura 45 minuti ma è per la maggior parte bippato.

Cosa ha portato alla reunion televisiva del cast e della produzione della trilogia cinematografica che ha fatto rivivere con humour e ironia agli spettatori prima gli anni ‘80 poi ancora gli anni ‘40, esplorando gli anni turbolenti di una Roma prima assediata dalla Banda della Magliana, poi dai fascisti? Lo spiegano Paola e Federica Lucisano, head of Tv Production e amministratore delegato di Italian International Film Gruppo Lucisano:

Federica Lucisano - Già quando è uscito il primo film io pensavo a una serie e ne avevo parlato a Paola. Lei mi ha detto di non pensarci nemmeno, la pellicola stava andando benissimo nelle sale considerate le circostanze in cui era uscita, la priorità era di quella di farne altre, di puntare sui sequel. Io quindi ho aspettato e, quando è stato il momento giusto, ho proposto l’idea a Sky. La vera sfida per il progetto è stata quella di riunire anche il cast originale, perché i quattro protagonisti sono interpretati da attori che si muovono prevalentemente al cinema e sono sempre impegnatissimi. Sky però è stata ferrea: volevano una serie con il cast originale, al completo. Hanno lavorato tantissimo per farlo succedere.

Paola Lucisano - La trilogia cinematografica ha affrontato mille difficoltà sin dai suoi albori, sfortunatissimi. Al primo film siano arrivati in sala a ridosso del lockdown. Al secondo abbiamo fatto una bella campagna promozionale e che succede? Arriva il secondo lockdown. Lì quindi è nata la collaborazione con Sky Original, per dare una casa al terzo film e maggior visibilità ai primi due.

La serie di Non ci resta che il crimine secondo me ha preso davvero il volo quando abbiamo trovato l’idea alla base forte, cioè uno dei protagonisti che scopre di essere stato adottato e vuole tornare indietro nel tempo per conoscere la madre. Devo dire che quando andavo a vedere gli episodi conclusi in proiezione ne uscivo sempre divertita: è stato allora che ho capito che questa era l’idea giusta.

Non ci resta che il crimine - la serie, negli anni ‘70 con Giallini & co: “in Italia era come stare in guerra”

Massimiliano Bruno è il capobanda. Oltre a interpretare Gianfranco, è stato il regista dei tre film della trilogia. Qui torna alla sceneggiatura e dietro la macchina da presa, affiancato da Alessio Maria Federici. È lui a spiegare perché la produzione ha deciso di puntare sulla decade dell’impegno politico e dei giovani ribelli: gli anni ‘70.

MB - Ho scelto gli anni ’70 perché io sono nato nel giugno del 1970, proprio nei giorni in cui l’Italia giocava sfide storiche e cruciali ai mondiali di calcio. La serie nasce dal mio desiderio un po’ nostalgico: quello, se esistesse la tecnologia del film, di tornare indietro nel tempo e vedere i miei genitori nei giorni prima del parto, vivere quella tensione, la felicità di entrambi, di camminare per le strade romane e vivere quell’atmosfera. Mio padre mi diceva sempre che aveva preso alla mamma delle rose color té…mai viste. Sarei curioso di viaggiare nel tempo solo per scoprire che caspita di rose siano.

Tornando agli anni ’70, sono sicuramente un periodo affascinante da analizzare, che dà forti emozioni a tipologie diverse di spettatori. Ecco, per me è importante proprio questo. Chi adesso ha tra i cinquanta e i sessant’anni quegli anni se li ricorda bene e li può rivivere attraverso la serie, un po’ come successe con Notte prima degli esami no? I più giovani invece vogliono vedere questi prodotti per vivere degli anni di cui hanno sentito parlare ma non ricordano. Quelli erano anni di fermento politico enorme, seguito da un ventennio reazionario che ha annullato quasi tutti i traguardi che si erano raggiunti. Io sento quel fermento politico oggi, in piazza, per le strade. Secondo me bisogna fare in modo che certi ideali nichilisti ed edonisti non smorzino sul nascere questo nuovo slancio: questa serie ha anche quello scopo.

Non ci resta che il crimine - la serie, negli anni ‘70 con Giallini & co: “in Italia era come stare in guerra”

Interviene Marco Giallini, che ritorna nei panni di Moreno. Lui rientra nel primo gruppo: quello di coloro che quegli anni difficili li vissero sulla loro pelle e assistettero a scene incredibili.

Marco Giallini - Ho tanti ricordi di quegli anni, alcuni molto vividi, ma voglio raccontartene uno in particolare. Ero un ragazzino, dovevo fare la cresima. Un giorno vado con mio padre a comprarmi la stoffa per fare il vestito della cresima, che al tempo si usava così. Andai con lui da un venditore di scampoli ebreo che non c’è più, per comprarmi un pezzo di stoffa verde oliva: pensa, di fronte al prete con un completo di questo intenso verde oliva, che scena. A un certo punto sentiamo sparare. I commercianti tirano subito giù le saracinesche, ma io faccio in tempo ad affacciarmi un attimo e vedo qualcuno che spara contro un cellulare della polizia, lì in strada, a pochi passi dal centro. Mio padre e io siamo rimasti chiusi in quel negozio, con la saracinesca abbassata, per ore. Dopo l’iniziale paura, abbiamo continuato a fare a quel che dovevamo: ho scelto il tipo d’abito, eccetera. Ancora oggi non riesco a dimenticare questo evento che ho vissuto. Fu così forte che mi pareva di stare dentro a un film. Alla fine in quegli anni c’era la guerra in Italia, anche se poi non la raccontiamo così.

Ti mancava Moreno?

Marco Giallini - Moreno è nato all’epoca del primo film, mi è bastato fare qualche urlo in romanesco e il personaggio era lì. Mi ha fatto piacere tornare su questo set, con questi colleghi. C’è stata anche qualche aggiunta, tra nuove leve e alcuni “loschi figuri”.

Massimilano Bruno - Capite com’è sul set? 10 ore così, con questo fuoco continuo di battutacce.

Gianmarco Tognazzi - Confermo, è un set davvero molto ironico. Io amo cambiare, mi piace fare sempre ruoli nuovi. Considerando la durata della serie, è stato come girare una nuova trilogia dedicata. Grazie alla serie ho capito il fascino di mantenere uno stesso personaggio e continuare ad evolverlo.

Tra i nuovi ingressi del cast di Non ci resta che il crimine, c’è anche Maurizio Lastrico nei panni del ricco borghese vicino al movimento studentesco Duccio Casati. Il pubblico di Sky l’ha conosciuto in Call My Agent - Italia in un ruolo molto simpatetico. Qui è pronto a sorprenderli.

Maurizio Lastrico - Non dirò nulla del mio personaggio, perché va scopetto puntata dopo puntata. Sul set di questa serie invece potrei dire tantissimo, a partire dall’atmosfera euforica e giovane che si respirava. È stato come tornare a scuola, alle superiori, stando in classe con una banda di matti. Quando giravamo le scene nella comune studentesca c’erano un sacco di studenti neodiplomati che interpretavano i ragazzi, era incredibile. Immagino che il backstage sarà stellare e divertentissimo.

Non ci resta che il crimine - la serie, negli anni ‘70 con Giallini & co: “in Italia era come stare in guerra”

A Gianmarco Tognazzi facciamo la domanda difficile. Prima il fascismo, ora il quasi golpe che l’Italia visse in quegli anni. Non è che Non ci resta che il crimine sia ben più seria e politica di quanto voglia dare a vedere?

Gianmarco Tognazzi - Con questa serie vogliamo fare un discorso di puro intrattenimento, lontanissimo dalla politica. La trama di questa stagione, per quanto possa sembrare “attuale” è stata pensata molto tempo fa, in tempi non sospetti, diciamo così. Scherzando, voglio dire: la gente cerca leggerezza, e noi gliela diamo.

Massimiliano Bruno - Rimane però il fatto che in Ungheria, in Turchia, in altri luoghi quelli che fanno il nostro mestiere non sono liberi di ironizzare come noi qui e ora. Non è in caso che questa serie a un certo punto citi il film Vogliamo i colonnelli di Monicelli. Il riferimento c’è proprio grazie a Tognazzi, che ci ha proposto di farlo. Io non riesco a immaginarmi negli anni di Monicelli, Scola, Petri perché loro erano combattenti, uscivano dalla guerra…come fa a immaginarti così? Sicuramente però sono spettatore entusiasta dei loro film.

Parlando del passato cinemartografico italiano, non sarebbe bello tornare indietro e rivivere gli anni di Troisi, del primo Benigni?

Marco Giallini - Io gli anni ’80 li odio, facevano schifo. Chi non c’era non lo sa. Io invece c’ero ed ero già morto. Non solo ideologicamente, ma anche fisicamente: ho fatto un frontalone con la moto, quasi ci sono rimasto. Piuttosto tornerei nell’epoca dei dinosauri, quelli veri: così, per vederli.

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