“Il set di Slow Horses è così realistico che inganna i passanti a Londra”: intervista a James Callis, la nuova Prima Scrivania
Dopo i fasti di Battlestar Galactica e Castelvania, James Callis torna sul piccolo schermo in una serie davvero british come Slow Horses e racconta com’è litigare sul set con Kristin Scott Thomas.
James Callis ogni tanto s’interrompe a metà di una frase. Penso sia un problema della connessione durante la nostra chiacchierata via videochat, invece è la professionalità e la concentrazione di un attore che si ferma a metà discorso alla ricerca della parola, della frase perfetta per raccontare un set davvero unico. Quello di Slow Horses, la serie di spionaggio targata Apple TV+ che con la sua quarta stagione sta raccogliendo consensi strepitosi. Quarta stagione in cui James Callis arriva come una new entry, con un gruppo di lavoro già formato: “Su quel set c’è sicuramente generosità di spirito, grande rispetto, complicità. Io sono arrivato dopo anni che già lavoravano assieme e tutti sul set si conoscono molto bene tra loro. È evidente si piacciono, che vanno molto d’accordo. Lo fanno da quattro anni.”
Noto al grande pubblico per i suoi ruoli SFF in cult TV come il remake di Battlestar Galactica, Star Trek e Castelvania, passaporto inglese e savoir-faire internazionale, Callis torna proprio con Slow Horses in TV con un ruolo di primo piano dopo un periodo più defilato. Lo fa come dopo aver conquistato uno dei personaggi più intriganti della nuova stagione di Slow Horses via audizione, come chi si deve ancora fare le ossa. Segno che la produzione non fa sconti, è alla ricerca dei volti giusti.
Quello spigoloso e duttile di Callis è prestato a Claude Whelan, l’attuale Prima Scrivania del Park, ovvero il direttore generale dell’intelligence inglese nel mondo fittizio nato dai romanzi di Mick Herron. Uno dei ruoli più chiacchierati dai fan, dato che si discosta parecchio dalla sua versione letteraria.
Per rompere il ghiaccio, all’inizio della nostra conversazione gli chiedo subito se conoscesse già la serie o i libri da cui è tratta.
"Ho ascoltato gli audiolibri dopo aver ottenuto la parte" intervista a James Callis, la nuova Prima Scrivania di Slow Horses
Ho avuto l’opportunità di partecipare a un provino per la parte di Claude Whelan. Conoscevo già la serie, avendo visto la prima stagione, che avevo trovato fantastica. Sapevo quindi di cosa trattava, ma sono finito per entrare nel cast senza aver nemmeno visto la seconda. Per mettermi in pari ho cominciato ad ascoltare gli audiolibri, in modo da avere un’idea di chi fosse il mio personaggio. Quello che posso dire è che c’è una bella differenza tra il Claude nei libri e quello nella serie.
Volevo proprio chiederti qualcosa in merito alla traiettoria molto differente che ha il tuo personaggio nell’adattamento. Forse è il personaggio che si discosta di più dai libri dell’intera serie. Hai avuto modo di confrontarti in merito con Herron o con chi si è occupato della scrittura del personaggio?
Non con Mick, no, ma con lo showrunner Will Smith e con il regista Adam Randall sì, parecchio. La parte in un certo senso è proprio come è stata scritta, nel senso che il personaggio ha lo stesso scopo drammatico, ma loro volevano che avesse un’energia molto differente. Credo fosse un cambiamento che abbiano pianificato alla luce di quello che succederà in futuro, nella stagione successiva. Il punto è soprattutto che Claude non sa cosa succederà.
Claude è un po’ quel personaggio che non fa parte del mondo che abita ed è sempre fuori posto, letto in chiave satirica. È anche un “animale politico”, uno che segue i dettami dei PR ed è stato messo lì per privatizzare l’intelligence del Regno Unito per conto di chi sta al governo. Ti sei ispirato all’attuale scenario politico inglese per creare questo lato di Claude?
Ottima domanda. Non mi sono ispirato solo a un politico, ma a un mix di vari personaggi sulla scena inglese. Ho già visto alcuni commenti di spettatori che dicono “ahhh si è sicuramente ispirato quel politico” e persone che sostengono che invece mi sia rifatto a qualcuno che è sullo schieramento opposto. Prima di Claude, il posto di Prima Scrivania era nelle mani di Ingrid, un personaggio che è, come potremmo dire? Senza scrupoli, pronta a tutto. Dopo di lei chi prende le decisioni voleva andare sul sicuro. È stata sicuramente una nomina politica quella di Claude. Ha avuto questo lavoro ma non sono sicuro che abbia dovuto faticare per ottenerlo e per giunta è circondato da persone che sono naturalmente molto più portate di lui a sopravvivere, a guardarsi le spalle, a non farsi scrupoli. Nel libro viene reso chiaro qualcosa che sullo schermo non viene mai esplicitato ma comunque c’è, da qualche parte. La persona più importante per Claude è sua moglie.
Nella serie non si vede mai.
No, non la vediamo, non se ne parla mai. Nella serie probabilmente sta pensando a lei, anche nei momenti in cui dovrebbe fare altro.
Hai fatto riferimento al personaggio di Diana Taverner prima, interpretato da Kristin Scott Thomas, la persona che “naturalmente” è più qualificata per il lavoro che svolge Claude. A ben vedere tu passi buona parte del tuo minutaggio a battibeccare con lei.
Kristin è una persona incredibile con cui lavorare, è fantastica e credo si capisca chiaramente guardando la serie. Lei davvero nel ruolo ci mette tutto quello che ha, tutto. È difficile spiegare a parole quello che fa, perché certo nella sceneggiatura c’è già tanto con cui lavorare e lei lo gestisce alla perfezione, ma poi ci aggiunge ancora più cose di suo. In questa stagione lei è costretta a fare da babysitter a me, per giunta senza lasciare che la cosa sia troppo palese. Ovviamente essere coinvolto in una dinamica così è molto, molto divertente. Sai c’è una scena sul un autobus a due piani inglese…
Sì, volevo proprio chiederti di quella scena! Tutto lo show sembra così…realistico? L’avete davvero girata in esterna, con un bus vero?
Sì, eravamo su un vero bus noleggiato dalla produzione, ma a uno stop finto, creato dagli scenografi.
Davvero?
Sì ed era così realistico che i passanti rimanevo lì in piedi, accanto a noi, in attesa dell’arrivo dell’autobus. Ogni volta che la telecamera si allontanava spiegavo loro che stavamo girando e quella non era una vera fermata dell’autobus, che stavamo girando una scena.
È interessante lavorare con Kristin perché puoi trovarti su un autobus con lei e, in un certo senso, essere buttato sotto un autobus da lei. Credo che Diana sappia perfettamente chi sia Claude e come averci a che fare, come manipolarlo.
Prima parlavi di quello che Kristin mette di suo nel personaggio. Mi è venuto in mente che anche tu fai qualcosa d’interessante con Claude. Lui spesso imita la postura di Diana e l’effetto è comico perché è palesemente, completamente fuori luogo. È frutto dell’improvvisazione?
Ha a che fare con una certa dinamica delle persone che si ritrovano in un posto senza avere la più vaga idea di quello che stanno facendo. Claude dovrebbe essere quello al comando, si muove in quel modo perché pensa che una persona nella sua posizione dovrebbe comportarsi così, ma palesemente…l’effetto è comico. È un po’ pianificato e un po’ improvvisato. Ovviamente mi hanno spiegato che mood volevano, lui non poteva starsene lì con le mani in mano e quindi io le incrociavo…ma poi non sapevo che farci, le riallungavo, mi appoggiavo, mi distendevo. Il risultato finale nasce da lì.
I fan di Castelvania ricordano con affetto i tuoi battibecchi con Richard Armitage, qui invece litighi con Kristin Scott Thomas. Chi è l’avversario più temibile per questo tipo di scene?
Sai, è difficile...direi Slow Horses. Perché non solo ci sto litigando, ma sono acutamente consapevole che ho un pubblico di sottoposti come spettatori. No, in realtà è proprio…divertente? (ride) Claude è convinto che è un ballo che bisogna ballare in due, che è una cosa che fanno assieme, allo stesso livello. Solo che palesemente Diana non la vede allo stesso modo.
Guarda, la scrittura di Slow Horses è così strepitosa che alle volte ho pensato che avrei quasi preferito fare uno spettacolo teatrale, non registrare sul set. Mi piacerebbe davvero che fosse uno spettacolo per fare repliche su repliche di quelle scene, riprovarle mille volte. C’erano giorni che mi svegliavo e mi veniva da ridere, perché mi veniva in mente una battuta che aveva scritto Will Smith e…è davvero pazzesco.
La scrittura è uno dei motivi per cui Slow Horses è così…non so, britannico? Un po’ televisione vecchia scuola, molto “da papà”? Com’è stare su quel set, nello specifico?
Dico una banalità: ogni set è uguale all’altro, ogni set ha la sua energia diversa da tutti gli altri. Dipende tutto dalle persone con cui lavori. Le persone che fanno Slow Horses sono molto, molto sicure di quello che fanno. Questo ti consente un grado di libertà che fatico a descrivere. Su quel set c’è sicuramente generosità di spirito, grande rispetto, complicità. Io sono arrivato dopo anni che già lavoravano assieme, quindi tutti sul set si conoscevano molto bene tra loro. È evidente quanto si piacciono, quanto vanno d’accordo. Sono legati da un rapporto che dura da quattro anni.
Da new entry questo set ti dà quasi l’impressione di entrare in un campo di forza. Sei circondato da questa energia fantastica generata dal fatto che tutti attorno a te sanno esattamente cosa stanno facendo. Non solo: a tutti piace ciò che stanno facendo. È un’atmosfera fantastica.
Alle volte una scena ti mette sono pressione per l'atmosfera che ha. Nel primo episodio di questa stagione Claude è nella control room durante l'attacco con le bombe. T'immagini di essere in questo hub con le bombe che esplodono a Londra in diretta sugli schermi di fronte a te, le responsabilità che si rincorrono e così via. Non so, sul set questo tipo di situazione è ricreato in un modo che tutto sembra davvero realistico. Quando sei davanti a quel muro di schermi con le immagini delle bombe che scorrono, non sembra davvero che stai facendo televisione, l’impressione è molto realistica. È fantastico.