Speciale The Witcher

Dal videogioco al piccolo schermo grazie a Netflix

di Fabio Fundoni

Oggi più che mai videogames e serie tv rappresentano due capisaldi dell’intrattenimento, muovendo l’interesse di milioni e milioni di utenti. Quando questi due mondi vanno a incontrarsi è più che normale che si scateni un enorme interesse verso l’elemento che li ha fatti congiungere. Ecco spiegato in poche parole il motivo della grande risonanza che ha avuto l’annuncio della produzione di un serial dedicato alla saga di The Witcher da parte di Netflix. Che poi, sia chiaro, è assolutamente necessario ricordare che The Witcher nasce in forma editoriale dalla penna di Andrzej Sapkowski, sebbene la consacrazione al grande pubblico sia giunta con l’uscita di tre splendidi videogame sviluppati dal team polacco CD Projekt (più qualche divagazione sul tema). In un mondo fantasy medievale estremamente cupo e crudele si muove Geralt di Rivia, uno witcher (o strigo, se preferite), cioè un umano appositamente mutato per allontanare i propri sentimenti e dedicare la vita alla caccia dei mostri più pericolosi dietro lauto compenso, alla faccia dello stereotipo dell’eroe senza macchia. Attorno a Geralt si muove un mondo variopinto fatto di politica, regnanti corrotti, miserabili uomini qualunque, streghe e stregoni e, ovviamente, mostri di ogni tipo.  


Abbiamo avuto l’occasione di visionare in anteprima le prime cinque puntate della prima stagione di The Witcher (con una seconda già annunciata), così da poterci fare un’idea del risultato della produzione polacco-statunitense. Come sempre accade in questi casi ci siamo avvicinati al tutto con enorme cautela, ben sapendo a che risultati orripilanti possa portare una serie legata a una licenza particolarmente importante. Partiamo col dire che si, The Witcher si fonda radicalmente sull’opera originale, motivo per cui gli appassionati non avranno problemi a ritrovarsi in ogni momento della trama, mentre i nuovi arrivati avranno modo di conoscere un universo affascinante in cui dovranno fare un po’ più fatica per riuscire a cogliere ogni elemento, visto che la sceneggiatura è abbastanza avara di “spiegoni”e compie diversi salti temporali su varie linee narrative. Nulla che possa spaventare i conoscitori di Geralt, ma un piccolo ostacolo per i neofiti che, di contro, avranno la gioia di godersi per la prima volta gli snodi narrativi di una trama appassionante e appagante, dove i tempi dettati in cabina di regia lasciano raramente momenti morti, tenendo lo spettatore sempre sull’attenti. 

La scelta dei paesaggi ungheresi si rivela ottima, tra atmosfere cupe e una gamma di colori autunnali e invernali che trovano qualche scintilla solo in rari casi, proprio quando la narrazione vuole trasmettere una impronta onirica in momenti di rara e breve quiete. Tutto concorre a rendere più realistica una ambientazione fatta di tanti uomini qualunque poveri e pochi nobili ricchi, dove il vero mostro non è sempre la creatura orripilante e sfigurata, ma spesso la mostruosità morale si nasconde dietro i più insospettabili. Geralt, nel suo abbandono (quasi completo) dei sentimenti perde tanto in bene quanto guadagna in mancato male. E’ così terribile la rinuncia a una vita normale e ai suoi rapporti sentimentali, se permette di allontanarsi dalla meschinità insita nell’uomo? Perché Geralt ci tiene a non farsi chiamare “umano” e ne fa un vanto. Merito della sceneggiatura, essere riuscita a ricreare certe sfumature in maniera soddisfacente in tutte e tre le linee narrative che si sono susseguite nelle puntate da noi visionate: quella principale di Geralt, quella della maga Yennefer e quella della principessa Ciri(lla). Ancora una volta non ci lasceremo andare a inutili spoiler: chi conosce la saga non ha bisogno di altre informazioni e chi non la conosce merita di scoprire il tutto nel mondo migliore: godendosi le puntate della serie. 


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Come avete potuto intuire abbiamo tirato un bel sospiro di sollievo e la soddisfazione durante la visione è stata elevata, sebbene non tutto ci sia piaciuto pienamente. L’elemento che ci ha fatto storcere il naso è stato, infatti, il casting, quantomeno in alcune delle sue scelte. Davvero niente da dire sull’interpretazione di Henry Cavill nei panni di Geralt, l’attore britannico sembra trovarsi alla perfezioni nei panni del witcher, puntando su una forma fisica invidiabile, un’ottima padronanza nell’uso della spada e soprattutto su una espressività vacua che rende alla perfezione il mix di apatia e sentimenti più o meno sopiti del Lupo Bianco. Insomma, applausi così come per Freya Allan che sembra nata per interpretare Ciri. Quelle che invece non ci sono sembrate scelte appropriate sono le attrici che interpretano le più importanti maghe dalla saga, Yennefer e Triss. Partiamo da Triss, portata sul piccolo schermo da Anna Shaffer che, per quanto capace, poco o nulla c’entra con l’immaginario legato al personaggio. Rossa o castana che si voglia (in base ai videogame o ai racconti), il volto selezionato è davvero troppo lontano da quello che tutti si sarebbero aspettati da Triss. Peccato. Discorso simile, sebbene meno marcato, per Yennefer. Anya Chalotra offre una buona prova recitativa, ma si discosta dalla figura di una Yennefer capace di far girare la testa a chiunque. Sebbene non sia mai stata presentata come una top model, ci aspettavamo una Yen più “fatale”, rispetto ai lineamenti giovanili della Chalotra. Scelte che rovinano la serie? No di certo, ma da appassionati della saga ci saremmo aspettati più fedeltà anche in questi elementi. 

Così, dopo cinque episodi, di cui abbiamo apprezzato anche doppiaggio ed effetti speciali, nonostante qualche resa un po’ troppo plasticosa, non possiamo che metterci in attesa per poter vedere anche i restanti capitoli di questa prima stagione, invitandovi a dare una possibilità a The Witcher targato Netflix, sia che sia fan di Geralt, sia che siate semplici appassionati del fantasy. Siamo certi che non ve ne pentirete!