Suburra

Abbiamo visto in anteprima i primi due episodi di Suburra, la nuova (e prima) serie Netflix prodotta interamente in Italia. Prequel del film uscito nel 2015, la serie vive le sue vicende nella Capitale attraverso diversi occhi, diversi personaggi, ma quelli che incontreremo più spesso di altri sono tre, due dei quali li conosciamo già. Ritroviamo infatti lo zingaro Spadino e Aureliano Adami interpretati nuovamente da Giacomo Ferrara e Alessandro Borghi, mentre il terzo a contendersi una fetta di potere in questa Roma sporca e corrotta è Lele (Eduardo Valdarnini), studente, con le mani in pasta tra coca e prostitute, figlio di un uomo di legge, che cerca sempre di scavalcare quella che è la sua identità sociale. Tre ragazzi giovani, diversi per origini e ambizioni, ma che vedranno spesso le loro strade incrociarsi, che lo vogliano oppure no.

Al loro fianco incontriamo "gli adulti": i genitori, i fratelli, le amanti... perché questa non è solo una lotta tra criminalità, Chiesa e Stato ma anche tra padri e figli, tra vecchio e nuovo. La città è divisa tra famiglie e persone sempre alla ricerca del potere: ritroviamo il Samurai (non più il Claudio Amendola del film, ma interpretato da Francesco Acquaroli), in contatto con le mafie del Sud, colui che ha l'ultima parola su tutto; la famiglia Adami, che controlla il litorale e Ostia e poi gli zingari, gli Anacleti, circondati da sfarzo e rabbia. 

Non dimentichiamo certo la parte che fa la "Roma Santa", preti e monsignori che in una mano tengono il crocifisso e con l'altra afferrano il seno di una puttana, coinvolti in festini a luci rossi su cui scende abbondante la famosa polvere bianca. 

Roma. Patrizi e plebei, politici e criminali, mignotte e preti, questo posto non cambia da 2000 anni”, sentiamo dire dal boss Samurai, ed è proprio così che ci viene presentata in questi 20 giorni racchiusi in 10 episodi fatti di luci al neon, musica elettronica, sesso, droga e corruzione. Come nel film, c'è un evento che fa da miccia a tutto il resto, se lì era il cambio di Papa qui, su piccolo schermo, sono le dimissioni del Sindaco. Dunque forza, bisogna muoversi, quel porto ad Ostia si deve fare e tutti - volenti o nolenti - devono collaborare, fare la loro parte: permessi di costruzioni, terreni ceduti, soldi investiti... in palio c'è una bella fetta di traffico di droga e quindi, potere.

Netflix ha voluto giocare su un terreno vincente scegliendo Cattleya e un prodotto che già nelle sue due incarnazioni precedenti (libro e film) aveva avuto un buon successo, affidando la scrittura della serie alle sapienti mani di Barbara Petronio, Daniele Cesarano, Ezio Abbate, Fabrizio Bettelli e Nicola Guaglianone. I primi due episodi sono diretti da Michele Placido mentre successivamente troveremo Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi dietro la macchina da presa. Il cast è fatto anche di molti volti noti come Claudia Gerini - mastro del conio al Vaticano, bella, cospiratrice e senza scrupoli - e Filippo Nigro - un politico integerrimo che viene affascinato dal senso di riscatto e di ribalta più che dal potere - che cercano in tutti i modi di non precipitare nella classica recitazione da fiction "all'italiana", e che ci fa molto piacere ritrovare in una serie di questo calibro. Siamo curiosi di vedere l'evolversi dei loro personaggi e i vari intrecci che li porteranno alla loro (probabile) distruzione. 

Il bello di una serie tv infatti, è soprattutto la durata. In 10 episodi si possono delineare tantissime sotto trame, storie, sfumature... si può dare al personaggio quello spessore che in un film viene ben mostrato certo, ma magari non del tutto approfondito. Vogliamo che Suburra sia questo, un'esperienza traumatica in una realtà che non vorremmo conoscere ma dalla quale non riusciamo a distogliere lo sguardo. Scoprire facce fatte di occhi spiritati, tagli di capelli coraggiosi e sorrisi sghembi; una città fatta di giacche sgualcite e abbigliamenti esagerati, musica alta e ville di lusso, vicoli bui e discariche di periferia, tutti luoghi che ospitano i peggiori ratti, quelli che camminano sue due zampe.