Succession: perché la serie ha conquistato il pubblico
Il cinismo, il rifiuto del politicamente corretto, il filtro dei media sul mondo: ecco perché Succession ha conquistato pubblico e critica
Ha vinto la bellezza di 20 Emmy Awards, con i 7 appena assegnati a Los Angeles per il 2023 inclusi quelli per la migliore serie drammatica, i migliori attori - Kieran Culkin e Sarah Snook - e 9 Golden Globes (ancora migliori attori, serie, non protagonista…).
Un successo strepitoso, anche per l’ultima stagione.
Succession ha stregato il pubblico televisivo con le sue grandi interpretazioni, la sua drammatica saga famigliare, il suo impero economico oggetto del desiderio di tanti, e non solo della famiglia.
Ma soprattutto, ha rappresentato una voce nuova nel panorama televisivo: una voce politicamente scorretta.
Le ragioni del successo: Succession e il rifiuto del politically correct
Nell’era della cancel culture, del politicamente corretto e della censura di tutto ciò che potrebbe offendere qualcuno, Succession è andata dritta per la sua strada. Per tutta la sua strada.
L’impero di Logan Roy - un eccezionale Brian Cox - che abbiamo seguito in Italia su Sky Atlantic e NOW trova le sue radici nella precisa volontà di mostrare l’ipocrisia dei media di oggi.
Agli occhi del mondo, sotto i riflettori e sui giornali, i Roy devono risultare sempre politicamente corretti.
Peccato che, per riuscirci, tutti i componenti della famiglia in realtà facciano il contrario: siano politicamente scorretti per ottenere i loro obiettivi.
La reputazione, nell’ambiente economico e in quello dei media, è oro. Più la reputazione è solida, più l’azienda sarà al sicuro.
I Logan e coloro che orbitano loro intorno - Siobahn, detta Shiv (Sarah Snook), perché il nome si pronuncia “Shivon”, sarebbe carino se i doppiatori italiani lo imparassero per tutti i film e le serie, Roman (Kieran Culkin), Kendall (Jeremy Strong), Connor (Alan Ruck), Greg (Nicholas Braun), Tom (Matthew Macfayden), Gerri (J. Smith-Cameron), Frank (Peter Friedman) - sono tutti impegnati a fare i propri interessi. I propri interessi personali, non quelli della famiglia. Non quelli dell’azienda. A quella ci pensa Logan. Ma per tutto il resto vige la regola “io, io e soltanto io” dietro la facciata del “siamo uniti”.
Succession è ipocrisia, complotto, tradimento - il peggiore che esista: il tradimento degli affetti che credono in te. Succession è ragionamento cinico su chi e cosa risulterà più gradito al pubblico in quel determinato momento per far apparire l’azienda moderna e politicamente corretta. Succession è ostentazione, eccesso, vizio. Ovvero tutto ciò che ci viene mostrato dietro la facciata pulita di chi ha costruito un impero.
La serie firmata da Jesse Armstrong, candidato all’Oscar per la sceneggiatura del film In the Loop, ha messo insieme le tematiche e il cast perfetti.
Oltre ai già citati protagonisti, la serie vanta guest star prestigiose, da Holly Hunter a Eric Bogosian, da James Cromwell a Fisher Stevens.
Un racconto corale in cui ogni singolo personaggio ha una sua tridimensionalità, è un personaggio “a tutto tondo”, come si dice in sceneggiatura, con una storia precisa che ne determina le scelte, le parole, i comportamenti.
C’è un intenso lavoro di approfondimento psicologico dietro a Succession. Sia in fase di scrittura che in fase di interpretazione. E il risultato, l’abbiamo visto, sono 39 episodi divisi in 4 stagioni che hanno conquistato un pubblico eterogeneo, di ogni età. Un pubblico che ama generi diversi ma si ritrova nella saga famigliare dei Logan a guardare come chi comanda decide le sorti del mondo. Con gli appoggi politici, il controllo dell’informazione, la creazione di ciò che dovremmo amare e odiare.
La messa in scena del dolore
E poi, naturalmente, c’è il dolore.
La messa in scena del dolore. L’uomo travolto dal proprio nome e dalla propria famiglia, che cerca di riprendere il controllo per poi perderlo di nuovo. L’uomo che si è creato un’illusione in cui ha vissuto per anni, in attesa di un momento che non sarebbe arrivato mai. Sto parlando del personaggio sempre al centro dell’uragano, Kendall Roy.
Costantemente nell’occhio del ciclone, Kendall si trasforma sotto ai nostri occhi. Attraverso la sofferenza, impara a capire che tipo di uomo vuole essere… Per poi gettare tutto al vento. Più volte.
Kendall naviga a vista. La sua dipendenza da alcol e droghe è un disperato tentativo di restare ancorato alla realtà per affrontarla e, al tempo stesso, di evaderne.
Succession ha conquistato il pubblico di tutto il mondo grazie a lui, alle tematiche, al politicamente scorretto, alla volontà di mostrare come tutto, quando si è personaggi in vista, venga filtrato dai social media, dalle parole dei giornali, dall’impatto che ogni singolo gesto ha sui media.
Al centro di Succession c’è il mondo di oggi, vero protagonista. Un ulteriore personaggio che muove miliardi di miliardi mentre il pubblico, sovrano solo quando c’è da creare o distruggere imperi economici - non lo stiamo vedendo in Italia proprio in questo periodo? - si lascia consapevolmente influenzare dalle stesse persone di cui determina il destino, in un gioco di rimandi infinito.
Non so quante altre serie TV siano state in grado di creare un legame così profondo con la realtà. Poche, sicuramente. E pochissime l’hanno saputo fare bene come Succession, che merita tutti i premi conquistati. E molto di più.