The Big Bang Theory compie 16 anni, ma sembra ieri. Perché è come tornare a casa

In occasione dell'anniversario del debutto televisivo, rendiamo omaggio a The Big Bang Theory e ricordiamo insieme perché è ancora tanto amata

di Chiara Poli

Qualche tempo fa, in un post che ha messo d’accordo molti appassionati, l’ho definita “casa”: The Big Bang Theory è una delle serie che ho visto talmente tante volte da saperla a memoria, eppure non mi stanco mai di rivederla. Perché è “casa”: appartiene a quella schiera di serie - rigorosamente sitcom, perché rasserenano - i cui protagonisti sono diventati ormai di famiglia. Quando arrivano sullo schermo, ti senti là. Con loro. A mangiare cibo d’asporto mentre Sheldon dice al malcapitato di turno: “Quello è il mio posto” per ristabilire l’equilibrio.

Quando e perché una sitcom diventa "casa": The Big Bang Theory


La messa in onda quotidiana all’ora di cena ai tempi di FOX, puntuale ogni giorno per anni, ha contribuito a quel meccanismo che i fan delle serie conoscono bene: riguardi un pezzetto di un episodio e finisci per cambiare i tuoi piani, fermarti davanti alla TV, vedere le repliche delle repliche delle repliche. Succede con le serie che ami, ma soprattutto con The Big Bang Theory, che ha tutte le carte in regola per essere “casa” per milioni di spettatori a prescindere da dove si trovino nel mondo.

“Casa” perché gli episodi sono tanti (la bellezza di 12 stagioni), ma di episodi brutti non ce ne sono. Neanche uno. “Casa” perché The Big Bang Theory è entrata di diritto nella cultura popolare, e si possono avere intere conversazioni con le citazioni della serie. Nel normalissimo uso quotidiano, dico. Provare per credere.

“Casa” perché anche alla centesima visione, il dottor Sheldon Cooper che emerge dalla vasca delle palline gridando “Bazinga!” mentre Leonard Hofstadter cerca di acchiapparlo fa ancora ridere. “Casa” perché trovi soddisfazione nel rivedere esattamente ciò che ti aspetti. Fa parte del divertimento: inizi a ridere un secondo prima che arrivi la battuta epocale perché sai già che sta per arrivare.

Rivedere The Big Bang Theory, vale per qualsiasi episodio di qualsiasi stagione perché non è una serie che necessita di un rewatch completo o cronologico, significa tornare per un po’ a Pasadena, a casa dei nostri amici, per scacciare noia o tristezza, per levarsi di dosso una giornata pesante, per scrollarsi via qualsiasi cosa. Almeno per la durata di un episodio. O magari due. O tre…

Sheldon (Jim Parsons), Leonard (Johnny Galecki), Howard (Simon Helberg), Raj (Kunal Nayyar) e Penny (Kaley Cuoco) costruiscono vicende divertenti e mai noiose sul nulla. Provate a pensarci: la visita di un parente, un nuovo collega al lavoro, un progetto su cui lavorare, una passione comune: qualsiasi elemento della quotidianità diventa un pretesto per costruire una narrazione divertente e intelligente, mai volgare - Howard che ci prova anche con le piante ormai non ci turba più - inventando regole nuove e strettamente legate a personaggi e ambienti. Ovvero: costruendo la nostra “casa”.

The Big Bang Theory ha un codice di comunicazione che condivide con tutti i suoi fan. Sappiamo già quando Leonard inizierà a balbettare, quando a Sheldon verranno i tic da disagio, quando Raj si consolerà col cibo per poi sentirsi in colpa… Li conosciamo. Sono persone vere, quando li rivediamo. Persone comuni. Intelligenti e nerd. Socialmente inadeguate e socievoli al tempo stesso.

Tanto socievoli che, col passare delle stagioni, nuovi personaggi si uniscono alla famiglia e ne diventano parte. Come se ci fossero sempre stati. Amy (Mayim Bialik), Bernadette (Melissa Rauch), Stuart (Kevin Sussman), Kripke (John Ross Bowe), Wil Wheaton, il rettore Siebert (Josh Molina), Zach (Brian Thomas Smith) e naturalmente la mamma di Howard (di cui conosciamo soltanto la voce; nella versione originale era doppiata da Carol Ann Susi e alla morte della doppiatrice la morte del personaggio è stata introdotta anche nella serie).

Nella stragrande maggioranza delle sitcom, con la crescita dei personaggi - spesso bambini o ragazzini - le cose cambiano: i figli vanno al college, iniziano a lavorare, si sposano, diventano genitori… In The Big Bang Theory no. Anche quando si sposano, anche quando diventano genitori, i personaggi non escono di scena, non diminuiscono le loro apparizioni, non cambiano fisicamente tanto che rivedere le prime stagioni fa impressione. Questo è uno dei segreti del successo della serie: nella vita le cose belle finiscono. Tutto cambia. A Pasadena no. Non fino al finale di serie, quel mix di risate e commozione che ogni volta ci travolge mentre gli attori si dicono addio davvero, davanti a noi, dopo essere stati una famiglia per 12 anni. Su un set. Ogni giorno.

L’efficacia e il livello delle battute, i marchi di fabbrica dei vari personaggi, l’assenza di cambiamenti che destabilizzino, la capacità di affrontare ogni cosa, perfino un lutto, con una prospettiva positiva: The Big Bang Theory è “casa” per tutto questo, e per molto di più.

Un passato cult da ritrovare quando vogliamo

The Big Bang Theory è "casa" anche per chi non si rende conto delle ragioni per cui ama la serie e si limita a seguire la propria passione, lo è per l’universalità delle tematiche e per la lunghissima lista di momenti cult che ci regala ogni volta che la riguardiamo.

Penso a Sheldon che ciancia di assurdità, convinto di parlare perfettamente cinese, mentre si lamenta del servizio al ristorante. Penso a Leonard che insegue il suo migliore amico - lo stesso che lo fa impazzire - nella già citata vasca delle palline di plastica, penso a Raj in mutande e bavaglia che mangia aragosta, penso a Howard che schiavizza Sheldon per far leggere a Stephen Hawking il suo lavoro…

E penso a Hawking, a Stan Lee, a Leonard Nimoy e a tutti gli altri grandi che non ci sono più ma che per noi restano sempre là, a Pasadena, a “casa”.

The Big Bang Theory è “casa” perché è memoria. Ricordo affettuoso di un passato che non tornerà mai più ma che, come per magia, si fa ritrovare ogni volta che vogliamo. Basta riguardare un episodio e le sensazioni riemergono come la prima volta.

Il mio episodio preferito in assoluto credo sia quello del Comic Con di Bakersfield, in cui i ragazzi - rigorosamente cosplayer di Star Trek: The Next Generation - si fermano nel deserto per un’esilarante sessione fotografica che finisce col furto dell’auto. Ma amo tutti gli episodi. In particolare, amo il fatto che siano ancora divertenti, rasserenanti, geniali, ogni volta che li rivedo. Tutti e 280. Lo dicevo, che erano tanti… Ma dal momento in cui - era l’episodio pilota - ho visto Sheldon Cooper intrufolarsi nella casa della sua nuova vicina per riordinare mentre lei dormiva, ho capito di trovarmi di fronte a qualcosa di speciale.

Quell’episodio andava in onda il 24 settembre del 2007 su CBS negli USA e qui su Steel (Mediaset Premium) nel gennaio del 2008. Quell’episodio avrebbe cambiato tutto.

Il nostro modo di parlare. Il modo in cui avremmo impiegato molto del nostro tempo davanti alla TV. La nostra concezione stessa di cosa dev’esserci in una serie TV per entrare davvero nei nostri cuori. E quella sensazione rassicurante, incancellabile, che riappare ogni volta che The Big Bang Theory ripassa in TV, o la troviamo in streaming, o la scegliamo in DVD. Quella sensazione familiare e confortante che ci fa sentire davvero a casa.