The Last of Us: gli hater del terzo episodio hanno sbagliato bersaglio
Si è fatto in grande parlare del terzo episodio di The Last of Us, con numerose polemiche da parte di chi non ha amato la scelta fatta dalla serie. Qualcosa di criticabile c’è, ma gli hater sbagliano bersaglio.
Come vi abbiamo già raccontato, il terzo episodio di The Last of Us ha sollevato un grande dibattito online. Sin dai primi minuti della puntata era chiaro che i creatori e sceneggiatori della serie puntassero proprio su questo episodio per alzare il livello della narrazione, per confezionare un piccolo pezzo di storia auto-conclusivo e che funziona alla grande anche da solo, come intermezzo, come corto a sé stante. Forte di un’ottima scrittura e di due grandi interpretazioni da parte dei protagonisti di puntata Murray Bartlett e Nick Offerman, la puntata vola da subito altissima sopra una serie di livello già oltre la media
Cosa succede nel terzo episodio di The Last of Us
La trama dell’episodio vede per protagonista Bill, un uomo che già prima del contagio del fungo viveva lontano dagli altri, concentrato ad allenarsi per sopravvivere a tutto e tutti con le sue armi, il suo bunker in giardino e le sue telecamere di sorveglianza. Dopo aver recintato e riempito di trappole i dintorni della casa materna in cui si è stabilito dopo le esecuzioni di massa operate dall’esercito, Bill vive una tranquilla vita di solitudine e agi, fino a quanto in una delle sue trappole cade Frank.
Frank è scappato da Boston, palesemente non ha mezzi per sopravvivere a lungo all’aperto. Al posto di cacciarlo o ucciderlo però Bill lo accoglie in casa sua, spinto da una solitudine acuta che dura ormai da anni. In poche ore, Frank comprende la verità su Bill. È un uomo omosessuale mai dichiarato (forse, a fatica, a sé stesso) che vive ancora nella casa di sua madre, seppellendo i suoi sentimenti e gli spartiti della sua musica dietro una facciata di paranoia e sfiducia verso gli altri. Ci mette poco a fare breccia nel suo cuore, a fargli conoscere l’amore, fisico e sentimentale.
L’episodio ci mostra poi un incontro della coppia con Joel e Bill, tracciando un chiaro parallelo tra i due personaggi. Bill e Joel sono due uomini destinati a proteggere chi amano, che avevano chiuso le proprie emozioni dietro un muro che Tess e Frank hanno saputo abbattere. Un muro che, ci suggerisce la serie, Ellie sta scalando, aiutando pian piano Joel a superare il dolore devastante per la perdita della figlia, che lo ha portato a distaccarsi dalla sua umanità.
La puntata, intitolata Long Long Time, prosegue nel raccontare gli anni di felicità e piccoli screzi tra Bill e Frank. I due, invecchiati, decidono infine di suicidarsi insieme. Frank è malato di cancro e la sua salute è molto peggiorata, Bill pensa di aver vissuto anni splendidi al suo fianco e non vuole rimanere da solo, dopo la morte di lui. A fine episodio Joel e Ellie superano il recinto. Alla vista dei fiori ormai appassiti, Joel capisce che Bill è morto. I corpi dei due, morti non da contagio ma per delle medicine, abbracciati insieme sul loro letto, non ci vengono mostrati. La puntata si chiude con una ripresa della strada su cui affaccia la casa della madre di Bill vista attraverso una finestra aperta.
Una finestra che è una metafora del cambiamento di Bill, che dal suo bunker emotivo, grazie a Frank, si è riaperto al mondo, anche se spopolato.
Le polemiche sul terzo episodio di The Last of Us
Definire Long Long Time un episodio dibattuto e controverso sarebbe eccessivo. La maggioranza della stampa e degli spettatori ha infatti accolto con grande entusiasmo questo episodio, lodandone la carica emotiva e la qualità narrativa. Il terzo episodio di The Last of Us era stato pensato per colpire il pubblico e sicuramente c’è riuscito. Con uno share in continuo aumento e numeri da capogiro, bisogna aspettarsi che un numero sempre crescente di spettatori non abbia mai giocato al videogioco da cui è tratta la serie e quindi abbia un punto di vista “fresco” sulla vicenda. Io stessa vi ho raccontato come, avendo visto The Last of Us senza aver giocato al videogioco, ho avuto un’impressione distinta rispetto al resto della redazione che ha redatto la recensione di The Last of Us ufficiale.
È innegabile però come tra i gamer gli umori siano a tutt’oggi contrastanti e l’episodio stesso sia molto dibattuto. Sgombriamo subito il campo dalle polemiche ingiustificate e ingiustificabili. Se il problema del terzo episodio di The Last of Us è la centralità di una relazione amorosa omosessuale, peraltro già più che suggerita nel videogioco, siamo di fronte a una criticità che sta negli occhi di chi contesta, non nella puntata in sé. Essere così omofobi nel 2023 da ritenere irrilevante o non degno di nota un episodio che espande la storia del videogioco perché si concentra su due personaggi gay non è una grande argomentazione. Gli omosessuali esistono nella realtà e, di contro, nelle storie di fiction che chi la vive immagina e scrive. Con buona pace di quanti hanno un rigurgito di bile a ogni omosessuale che appare su grande o piccolo schermo, le persone queer continueranno ad apparire nei film, nelle serie e nei videogiochi. Sarebbe meglio vedere un buon terapista a riguardo.
Questo però non significa che alcune critiche all’episodio non siano più che fondate. Alcune provengono dalla comunità omosessuale e da gamer gay stessi, ma purtroppo le loro considerazioni illuminanti vengono sommerse dal volume delle offese di quanti sono fermi al concetto dell’inaccettabilità della rappresentazione omosessuale in contesti “virili” (sigh) come i videogiochi.
Alcune critiche al terzo episodio di The Last of Us sono motivate
Per scrivere questo pezzo mi sono documentata su come il videogioco racconti la storia di Bill (grazie ai videogiocatori che caricano i recap del gioco con gli spezzoni del gioco su YouTube: siete la mia salvezza!). Non mi ha sorpreso scoprire che la storia di Bill e Frank nel videogioco sia molto differente, perché avevo avuto questo sentore anche durante la visione della puntata.
The Last of Us serie fa la scelta comprensibile di cambiare il tono molto duro e cinico del videogioco, dove la convivenza tra Bill e Frank va a finire male. Frank si suicida dopo essere stato infettato, nel tentativo di recuperare una batteria per un’automobile. Vuole andarsene dalla cittadina. Nella sua lettera d’addio spiega di non poterne più della manie di controllo e di paranoia di Bill, di non essere disposto solo a sopravvivere, di volersi prendere dei rischi e vivere. Nel gioco Bill si ritrova davanti all’improvviso il cadavere di Frank impiccato a una corda. Una scena drammatica, scioccante, che non lascia indifferente nemmeno lui. Un contrasto fortissimo a scene commoventi come Bill che si commuove mangiando una fragola coltivata in segreto da Frank, convinto che anche durante l’Apocalisse ci sia bisogno di amore e umanità.
Quella di The Last of Us è una precisa scelta di campo, comunissima nei prodotti hollywoodiani degli ultimi anni: ritrarre i personaggi appartenenti a minoranze (per etnia, religione, orientamento sessuale) in una luce positiva e sempre con un lieto fine. Buona parte della comunità queer stessa è allergica ai finali tragici e ne ha motivo.
Per tutti gli anni ‘70 e ‘80 i personaggi codificati come queer sono stati per la gran parte associati a criminalità, anarchia, usati come racconto morale o commentario in cui chi devia dalla normalità finisce male, morto o in prigione. Con l’epidemia di AIDS degli anni ‘90 la morte ha raggiunto milioni di omosessuali dentro e fuori gli schermi. La rappresentazione si è fatta più positiva (ma comunque stereotipata), a patto però che l’amore gay avesse un finale tragico. Gli stessi registi e sceneggiatori queer hanno sentito il bisogno di denunciare la gravità dell’AIDS. Il risultato sono state generazioni di persone queer cresciute con come unica rappresentazione di sé nella cultura pop figure tragiche, destinate alla morte.
Ora però assistiamo al fenomeno opposto. La necessità più che lecita di avere anche storie queer positive e a lieto fine in TV e al cinema porta spesso alla difficoltà di associare a personaggi gay tratti anche sono vagamente negativi. È comprensibile e apprezzabile come la serie di The Last of Us abbia voluto ribaltare la presentazione di un certo tipo di personaggio conservatore, survivalista, repubblicano di ferro statunitense con Bill.
Rimane il fatto però che veniamo da due episodi ricolmi di macabri dettagli su come la civilità sia decaduta e le persone si uccidano in maniera barbara tra di loro, in una lotta per il potere e le risorse in cui il fungo c’entra poco. Abbiamo visto Joel buttare nelle fiamme il cadavere di una bambina, abbiamo visto ai lati della strada le fosse comuni di persone uccise preventivamente dall’esercito per rallentare la diffusione dell’epidemia.
Sta alla sensibilità di ognuno, ovviamente, trarre le proprie conclusioni. Quello che voglio ribadire è che, oltre l’omofobia, il terzo episodio di The Last of Us fa delle scelte forti che sono state criticate in maniera lecita, con delle argomentazioni che hanno il loro peso, non per partito preso. Sia per atmosfere sia per narrazione la versione di The Last of Us videogioco sembra più coerente con la fine della società così come intesa nel 2023, meno scollata dalla realtà fatta di zombie e Apocalisse.
Casualità vuole che l’episodio sia uscito a ridosso di Bussano alla porta di M. Night Shyamalan, un thriller horror in cui un’amorevole famiglia omogenitoriale si ritrova di fronte all’ostilità del mondo nei suoi confronti, dettata forse da Dio, forse dall’isteria di una setta. Il dibattito è aperto e interessante: l’importante è dare spazio alle voci giusti e non alle invettive gratuite in merito.