Come The White Lotus e Sabrina Impacciatore hanno conquistato il Golden Globe
La seconda stagione di The White Lotus, ambientata in Sicilia, ha conquistato gli Stati Uniti e il mondo: cosa si nasconde dietro questo successo globale e cosa c’entra Sabrina Impacciatore?
A chi la guardava impacciata e occhialuta tra le ragazze di Non è la Rai negli anni ‘90, a chi ne ammirava le pungenti imitazioni e la recitazione brillante nella serie Disokkupati, non sarà sembrato vero di leggere un tweet in cui il creatore delle serie American Gods e Hannibal a inizio dicembre si proclama fan dell’attrice italiana Sabrina Impacciatore e del suo personaggio nella serie HBO The White Lotus, la responsabile di un hotel di lusso di nome Valentina. Un ruolo che ha contribuito in modo fondamentale alla conquista del Golden Globe, assegnato proprio stanotte.
Bryan Fuller è solo uno dei tanti statunitensi che a inizio dicembre sono impazziti per l’attrice italiana, capace di conquistarsi il ruolo ambitissimo della manager Valentina nella seconda stagione della serie HBO The White Lotus. Un ruolo che le ha regalato notorietà globale, ma anche qualche inaspettata coltellata alla schiena.
Sabrina Impacciatore ha conquistato gli Stati Uniti grazie a The White Lotus
Una notorietà arrivata di sorpresa entro i confini italiaci, dove la prima stagione di The White Lotus non aveva sfondato. La miniserie di stampo comico, proposta in Italia da Sky, non è riuscita con la sua prima stagione a diventare altrettanto famosa, chiacchierata e amata come in patria. Tra gli addetti ai lavori però il successo della prima stagione - così travolgente da trasformare una miniserie conclusiva in un franchise seriale - non era passato inosservato. In tantissime tra le attrici e le star di casa nostra hanno mandato il proprio video provino ai casting di HBO, una volta arrivato l’annuncio che la seconda stagione sarebbe stata ambientata in Italia. Impacciatore ha anche rivelato che il ruolo le è costato molto livore, invidia e qualche risposta velenosa, persino tra le sue amiche.
Il ruolo di Valentina, la volitiva manager incline a flirtare dell’albergo della catena White Lotus a Taormina, vale la fine di un’amicizia? Per alcuni sì. D’altronde si tratta di un’occasione quasi irripetibile per un’interprete italiana di diventare un volto familiare la livello internazionale, presso il pubblico statunitense, facendosi notare in quel di Hollywood.
Sabrina si è fatta notare eccome, grazie al talento, alla bellezza e alla capacità di incarnare il piglio sicuro, l’attitudine seduttiva, ironia pungente e la deriva nevrotica del suo personaggio, a cui ha donato una carica comica figlia della sua lunghissima gavetta ed esperienza.
Impacciatore ha lasciato il segno, oltre il personaggio che interpreta. La sua intervista al Late Night da Jimmy Kimmelin cui intercala nervosamente qua e là un “allora” tra le sue risposte in inglese è rimbalzata ovunque sui social, non solo in Italia.
Suo è anche il merito di aver improvvisato la battuta cult della seconda stagione, in cui di fronte a una Jennifer Coolidge di rosa vestita che le chiede “Indovina chi sono?”, riferendosi al suo outfit e alla sua attitudine ispirata a Monica Vitti, risponde a braccio, buttando lì sul momento un “Peppa Pig” divenuto poi un piccolo cult del 2022.
Capire il successo di Sabrina Impacciatore in The White Lotus è abbastanza semplice. In una serie fondata su un umorismo nero e tagliente, con robuste iniezioni di flirt e svolte nevrotiche, un’interprete dalla vena comica di razza come lei ha saputo brillare al fianco del cast statunitense, diventando una protagonista (la protagonista), uscendo all’angolo della “star locale” interpellata per fare colore o fingere autenticità.
Meno immediato è comprendere invece cosa abbia trasformato questo prodotto targato HBO in un tale fenomeno mediatico e cosa abbia portato la seconda stagione a surclassare la prima in materia di ascolti e chiacchiericcio social. Quel che è certo è che lo strano mix alla base di questa commedia ha lasciato il segno nel 2022 seriale.
The White Lotus: una studiata ricercatezza sposata all’eccesso
The White Lotus ha al suo centro il mondo alberghiero di lusso, dedicato ai clienti più esclusivi. Inizialmente pensato come prodotto autoconclusivo, è stato sapientemente rimaneggiato per diventare una serie longeva: a ogni stagione si viaggia in un nuovo luogo “esotico” (almeno agli occhi degli statunitensi), dove si trova un resort della catena The White Lotus.
L’ironia sfrontata e lo spunto comico di The White Lotus è tutto insito nel pacchetto allegato alla ricchezza oscena, ereditata e spesso immeritata dei suoi facoltosi protagonisti. La loro vacanza sembra dedicata a rendere la vita impossibile ai dipendenti del resort in cui si trovano, dimostrandosi creature superficiali, meschine, egoiste e false. La pressione esercitata sui dipendenti però raggiunge un punto tale che scoppia, trasformandosi in azioni pericolose, irrazionali, seduttive e perfino omicide.
È questo il mix che ha donato a The White Lotus il suo successo: permette allo spettatore divertito di osservare l’esaurimento della pazienza e del contegno a cui vanno incontro i personaggi costretti a lavorare per i ricchi più ricchi, esposti alle angherie senza fine di una galleria di personaggi vacui, vapidi e irresistibilmente pieni di sé con cui sono costretti a convivere per una settimana. Parte del divertimento risiede anche nel fatto che, quando vanno in modalità berserk, i proletari della serie hanno reazioni così fuori dagli schemi, così rabbiose, così incoerenti da generare un picco sia adrenalinico che comico. In The White Lotus insomma si ride attendendo l’inevitabile momento in cui può succedere di tutto e probabilmente si finirà di nuovo a ridere di loro, i ricchi.
Sarebbe interessante sapere che ne pensi quel 1% della popolazione che trascorre esistenze superlusso simili di questa moda narrativa che ha come bersaglio proprio loro. Dalla Palma d’Oro a Cannes Triangle of Sadness passando per il cattivissimo film sull’alta cucina The Menù, è un momento d’oro per i prodotti come The White Lotus, che si divertono a dileggiare e coprire di ridicolo i ricchi più ricchi.
The White Lotus ha il gusto per l’eccesso, per il ridicolo e il camp, per qualsiasi cosa tracimi il buon gusto, ben incarnato dalla sua interprete più iconica: Jennifer Coolidge. Sotto questa ostentatezza di cattivo gusto c’è però un contraltare ricercatissimo, un gusto di prim’ordine, una ricerca profonda. Basta scorrere i brani italiani inclusi nella seconda stagione di The White Lotus, osservare gli omaggi al cinema italiano d’autore che si ricorrono episodio dopo episodio.
Una serie davvero camp, sprovvista di raffinatezza, non avrebbe certo interpellato il compositore canadese-cileno Cristobal Tapia de Veer commissionandogli uno dei temi più ipnotici e iconici dell’ultima stagione, Renaissance (Main Title Theme). Una sigla in cui la musica classica si fonde con l’EDM e i gorgheggi lirici si trasformano in una sorda di yodeling sintetizzato che diventa via via un mix indescrivibile e indimenticabile.
Il vero mistero intrigante è quanto di questa ricerca sia poi la chiave che determina il successo di The White Lotus. Quanti degli spettatori anglosassoni avranno colto nella Taormina seducente della seconda stagione un continuo, insistito riferimento all’immagine turistica di “paradiso degli omosessuali” che le fotografie di giovani siciliani accuratamente confezionate da Wilhelm von Gloeden regalarono alla Sicilia di fine Ottocento?
The White Lotus gioca due partite: quella superficiale che punta all’eccesso e al ridicolo e quella, più discreta, di una serie che è parecchio orgogliosa della sua sua cultura del bello, della sua conoscenza dei paradisi esotici che contribuisce attivamente col feticizzare. Il merito o la colpa di è di Mike White, il burattinaio e showrunner dell’ultimo fenomeno seriale statunitense. In attesa di risolvere questo mistero, staremo a vedere dove ci porterà la terza stagione, già confermata. Dopo le Hawaii e la Sicilia, White ha fatto sapere di volersi trasferire in Asia.